Avevo 27 anni, ero fidanzato con una bella ragazza sarda, ma ogni volta che andavo a casa sua ed incontravo sua zia Irene me ne morivo.
Non eccessivamente bella, ancora signorina, con una quindicina di anni più di me, aveva due seni indescrivibili. Grossi e tesi.
Ed io che per i seni vado pazzo, sognavo ad occhi aperti di toccarla, baciarla e, naturalmente, scoparla.
L’occasione si presentò improvvisamente, sia pure in modo strano, dopo il mio matrimonio, quando avevo già superato i 35 anni e lei – la zia di mia moglie – si avviava verso i 50.
Fui chiamato per motivi di lavoro in Sardegna, dove avrei dovuto trattenermi per circa un mese per una serie di ispezioni aziendali.
La zia Irene fu molto contenta di darmi ospitalità.
Le avrei fatto compagnia dal momento che viveva sola.
Un mattino, durante la colazione, mi disse di sentirsi un po’ stanca : il medico le aveva consigliato una cura di ormoni.
Fu allora che mi venne una strana idea, rivelatasi poi vincente.
Con noncuranza le dissi di aver letto in una rivista scientifica che gli ormoni più efficaci erano contenuti nel liquido seminale.
Da qui ebbe inizio una lunga serie di domande da parte della zia che, in conclusione, disse che non avrebbe potuto accettare tale tipo di intervento e, inoltre, non avrebbe saputo, eventualmente, a chi fare una richiesta di liquido seminale.
Le dissi che, se avesse voluto, avrei potuto aiutarla io, considerato anche che, in quanto parente, sarei stato in grado di fornire le opportune garanzie igienico-sanitarie.
Mi chiese cosa avrebbe pensato di ciò mia moglie ed io le risposi che mia moglie non avrebbe pensato proprio nulla perché non l’avrebbe mai saputo. Comunque, in prima istanza, il discorso non approdò a nulla.
Due sere dopo, rientrando tardi dal lavoro (erano circa le 22, 30), trovai la zia Irene davanti alla TV, già pronta per andare a letto.
Sbirciai nella sua camicia da notte e riuscii a vedere, attraverso la trasparenza della stoffa, quei due seni immensi, alla cima dei quali si ergevano due capezzoli scuri che avrei succhiato subito con piacere.
Tra una parola e l’altra, la conversazione ricadde sugli ormoni e fu lei a principiare il discorso.
Mi chiese come avrei potuto fornirle quel liquido di cui si era parlato.
Le risposi che, escluso il ricorso a qualsiasi recipiente o ad altra manovra similare, l’unico sistema per conservare l’efficacia dello sperma era l’assunzione diretta dello stesso.
Seguì un’altra serie di domande, alle quali io risposi pacatamente, senza lasciar trasparire fretta o interessi particolari.
In effetti, nel mio intimo, fremevo ed ero eccitato al massimo perché presagivo che stava avverandosi il sogno da sempre coltivato.
Finito di cenare, la zia mi comunicò – devo dire con molto imbarazzo – di accettare la prova e mi chiese come avrebbe dovuto prepararsi.
Le dissi che bastava fare una doccia e attendermi poi a letto.
Anch’io feci una bella doccia e cercai di calmarmi.
Al pensiero che avrei avuto fra le mani una donna vergine e non smaliziata e che mi sarei trovato di fronte a reazioni sconosciute ma intriganti e poi il fatto di essere soli, di notte, in quella grande casa, mi procurò un erezione che cercai di controllare razionalmente per non correre il rischio di “concludere” prima di iniziare.
Quando fui pronto, entrai, nudo, nella camera da letto che era, su mio consiglio, appena rischiarata da una leggera lampada posta sul cassettone.
Entrai lentamente nella stanza e vidi che lei mi guardava, guardava soprattutto il mio membro, teso sino allo spasimo. Impiegai pochissimo ad abituarmi al chiarore.
Mi misi a letto e, per non traumatizzarla, fui discreto e molto gentile.
Le dissi di stare tranquilla.
Tutto sarebbe andato bene.
Mi avvicinai a lei, le tolsi la camicia da notte, cominciai a carezzare i suoi seni ed ebbi l’impressione di scoppiare.
Non avevo mai visto e toccato due montagne così grandi e così dure.
Mi chinai e la baciai, infilandole la lingua in bocca e suggendo la sua saliva; sentii che ricambiava con gusto e tenacia.
Presi in bocca i suoi capezzoli che, nel frattempo, si erano induriti e cominciai a leccarli piano, girando con la lingua intorno e strizzandoli con le labbra. Lei cominciò a gemere piano.
Scesì giù tra le sue gambe, vidi da vicino la sua rosa : grande, nera, bellissima.
Dilatai leggermente le valve della fessura e iniziai a leccare e a tormentare il clitoride, prima lievemente e poi freneticamente.
Sentii che mugolava. Diceva:
“si, si, ancora, ti prego, oddìo che piacere, sto venendo, ancora, ancora… ”
Ebbe un orgasmo lungo e sofferto; mi afferrò la testa e me la pressò sulla fica ormai bagnatissima e piena di umori che io leccavo ed inghiottivo.
Intanto con le mani strizzavo i suoi seni e continuavo con la lingua a stare dentro di lei in cerca di altri umori e di altro piacere.
Ebbe un secondo orgasmo , sospirando e mormorando parole di gioia, di sfinimento:
“… è bellissimo, diceva, adesso mettimelo dentro, ti prego… ”
Io ormai non ce la facevo più a trattenermi, ma non potevo scoparla subito (come avrei voluto): dovevo dimostrare la validità della “teoria degli ormoni”.
Mi misi in ginocchio e mi avvicinai al suo viso, le feci aprire la bocca e le infilai dentro il mio turgido pene ormai al limite della resistenza.
Fermai la sua testa fra le mie mani per evitare che, nel momento cruciale, potesse ritrarsi.
Ero infoiato, imbestialito ed il mio unico scopo era quello di farle arrivare lo sperma in gola e, se possibile, anche più giù..
La sua lingua girava intorno al mio prepuzio e toccava sistematicamente la fessurina del glande. Cominciai a spingere leggermente.
Mi sentii portare in cielo e scaricai con rabbia lo sperma nella sua bocca, quattro, cinque volte.
Lei aprì gli occhi e mi guardò. Inghiottì con voluttà quel mare di liquido e poi si acquietò.
Mi chinai su di lei, la baciai, sentii anche il sapore salato del mio sperma e le chiesi cosa avesse provato.
Mi disse che era stato bellissimo e che avremmo dovuto farlo ancora.
La “cura” continuò ed ebbi anche il piacere di sverginarla.
Poi, nel tempo, la cura si esaurì, come avviene per tutte le cose di questo mondo. FINE
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