“Come chi è evaso? … No, fa niente Antonia, ne parliamo un’altra volta”.
Silvia mise sul giradischi la Sesta di Ciaikovskj e si sdraiò sul divano a occhi chiusi. Ma le sorprese non erano certo finite.
Qualche giorno dopo, erano circa le quattro del pomeriggio, donna Vittoria dormiva nella sua camera al piano superiore. Quando tornava dal lavoro riposava sempre per un ora e guai a chi faceva rumore o la disturbava. Silvia stava sdraiata sul solito divano e leggeva i racconti di Isabelle Allende, quando sentì la suocera che la chiamava. Salì nella sua camera. Di fronte al letto d’ottone pieno di riccioli e pomelli dorati stava lei, con indosso una vaporosa vestaglia di voile e raso e sotto una camicia da notte violettina, tutta ricamata sul davanti di pizzo di S. Gallo.
Silvia fu molto sorpresa nel trovarsi di fronte la suocera così desabillèe, quasi discinta. In oltre un anno di convivenza non le era mai capitato; anche in casa girava sempre chiusa nei suoi vestitini da esercito della salvezza. Sentì il cuore batterle più forte. Donna Vittoria aveva alle spalle la finestra e la luce faceva trasparire, attraverso le stoffe leggere, il profilo del suo corpo. Era massiccio, ma allo stesso tempo flessuoso ed energico. Su tutto dominava il petto imponente e un sedere sontuoso, anche perchè il resto era coperto da una specie di guepiere scura. Silvia pensò che sarebbe piaciuta ancora a molti uomini. E rimase colpita dal modo quasi impudico col quale si offriva ai suoi occhi. E anche da quella insolita biancheria che indossava. Emanava una forte sensualità che scaturiva dal contrasto tra la personalità di quella donna e l’intimità che le concedeva. Era inutile nasconderlo, quella donna, con la sua doppia natura, l’aveva in qualche modo stregata. Forse era la paura che le incuteva, forse la stessa assurdità della situazione, ma a Silvia sudavano le mani e il respiro le si spezzava come al primo incontro con l’innamorato.
La suocera le chiese di aiutarla perchè voleva riporre nei ripiani alti dell’armadio dei vestiti. “Tu sali sulla scala e io ti allungo la roba”. Uscì nel corridoio e prese la scala. Ma nel girarsi urtò il lampadario e ruppe una specie di palla di vetro. Si voltò verso Silvia, si guardarono come interrogandosi a vicenda. L’aveva fatto apposta? Silvia non ebbe il tempo per rispondere, perchè fu come folgorata. Non pensò neppure a quello che stava per fare. Agì come guidata da un impulso irresistibile.
“Guardi cos’ha combinato – sbottò alzando la voce – un bel disastro davvero…. Non si potrà neanche riparare…. Dovrebbe stare più attenta… non è mica che, perchè questa è casa sua, lei possa rompere quello che le pare… è facile sgridare gli altri… ma poi… “. Si fermò ed ebbe paura di quel che aveva fatto, ma la suocera non reagì, stava zitta e a capo chino. Rimase qualche frazione di secondo senza sapere cosa fare. No, non era possibile quello che stava pensando, eppure quel silenzio era più chiaro di cento parole. Smise di pensare, in una situazione come quella pensare non serve proprio a nulla. La suocera rimaneva lì, la guardava come se stesse aspettando qualcosa.
Silvia si decise: “Io credo che abbia bisogno anche lei di una bella lezione”. Si guardò intorno e vide su una sedia una cintura di corda e anelle di metallo. Era lì per caso? Non c’era tempo per chiederselo.
L’afferrò. “Si giri” le disse con un tono imperioso che non aveva mai usato in vita sua. Donna Vittoria sfarfugliò qualcosa del tipo: “Ma cosa vuoi far… è stato un banale incid… ma come ti permetti… stai scherzando… potrei essere tua madre… “. E mentre parlava si girò, si piegò in avanti e si appoggiò con le mani sul letto. Silvia ebbe l’ultimo attimo d’indecisione, poi le sollevò vestaglia e camicia da notte. Era senza mutande. Ancora per caso? Ma che senso aveva farsi tutte quelle domande.
L’unica cosa certa era che aveva di fronte la terribile suocera con il culo nudo per aria e la vendetta stretta forte in pugno. Era un sedere sconfinato, una mongolfiera di ciccia pallida, ma era ancora discretamente sodo. Le parve un magnifico sedere, ma ebbe il sospetto di essere ormai obnubilata da quella donna. Assestò il primo colpo, ma aveva troppo timore e, più che una frustata, sembrò un buffetto. Del resto era proprio alle prime armi. Prese più coraggio e assestò il secondo, un po’ meglio ma ne uscì un rumore fiappo, che non le diede alcuna soddisfazione. La suocera protendeva il suo culone implorante verso di lei. Capì che doveva fare di più. Chiuse gli occhi e ce la mise tutta.
Prese a picchiare con forza. Ora la cintura emetteva un suono pieno e vibrante, accompagnato dai mugolii della suocera. Da come si mise a dimenare il culo e a sussultare tutta, capì che stava prendendoci la mano. Ogni colpo lasciava su quelle due montagne lattee un’impronta vermiglia. E ad ogni frustata donna Vittoria smaniava sempre più. Muggiva, rantolava, emetteva urletti soffocati. “Più forte… più forte… non avere paura”. Silvia picchiò con tutta la forza che aveva. Ogni timore e imbarazzo era ormai scomparso. Ad ogni colpo che assestava si sentiva palpitare tra le gambe. Le stava piacendo incredibilmente frustare quel sedere. Vedere sua suocera godere senza ritegno sottoposta a quel supplizio. Da in mezzo alle gambe della suocera spuntò una mano, che prese a frugarsi furiosamente nella figa. “Più forte… più forte… continua… ” ripeteva Donna Vittoria masturbandosi.
Una voce, alle loro spalle, le bloccò.
“Ma brave… Proprio una bella scenetta. Non ho mai visto suocera e nuora andare più d’accordo. Ma vi sembrano cose da fare? Non vi vergognate? ” Sull’uscio, ancora con l’imperbeabile addosso e la borsa in mano, c’era lui, il figlio e marito Filippo. Tutti e tre si fissavano. La suocera non si era nemmeno rialzata, aveva solo girato la testa e se ne stava lì con il sedere flagellato in esposizione. Silvia avrebbe voluto fuggire. Ma Filippo, stranamente imperioso ed energico, continuò: “E questo sarebbe il magistrato tutto d’un pezzo e quest’altra la fanciulla pura come un giglio? Siete solo delle depravate che meritano una bella e sacrosanta lezione”. La commedia non era finita, ora cominciava il secondo atto.
“Avanti spogliatevi”. Silvia guardò la suocera: “No, no. Qui si sta esagerando, il gioco ora deve finire”. Avrebbe voluto dirlo a quei due, ma le parole le si seccarono in gola.
“Filippo non essere troppo severo. Sono pur sempre tua madre”. E mentre diceva così donna Vittoria si slacciava la camicia. Rimase nuda con la sua guepiere nera. Silvia non ne aveva mai viste di fatte così. Non copriva il seno, ma lo sosteneva solo. Era come se quelle due tettone fossero offerte su due vassoi e così sorrette sembravano ancor più grosse e ………. Le venne in mente il regalo che le aveva fatto per l’anniversario di nozze. Dunque quella roba se la comprava anche per lei. Chi l’avrebbe mai pensato che sotto quei vestiti impeccabili e serissimi…
“E tu cosa aspetti” le intimò il marito. La suocera l’accarezzò con uno sguardo d’incoraggiamento. Si spogliò. Donna Vittoria finalmente poteva vederla completamente nuda, risplendere in tutta la sua bellezza. Sentì quegli occhi frugarla dappertutto, sbavavano di voglia. Ma ancora una volta la voce del marito le interruppe. “Mettetevi sul letto… ecco così a quattro zampe… più vicine… più vicine, in modo che i vostri sederi si tocchino”. Sentì la pelle bollente della suocera contro la sua. E poi sentì il morso della frusta. Silvia cacciò un urlo che rimbombò nella stanza, inarcò la schiena, ma non accennò ad alzarsi. Filippo, ancora con l’impermeabile, iniziò a traffiggerle con frustate secche, distribuendo equamente i colpi. Uno al culone della madre e uno al culetto della moglie. Si stringevano uno all’altro come per proteggersi. Ma appena Filippo preso dalla foga dava due frustate dalla stessa parte, l’altro si protendeva per avere la sua razione. Silvia guardò la suocera, carponi come un animale, che emetteva gridolini di piacere. Vide i suoi seni che, sotto i colpi, sussultavano e dondolavano come grandi onde. Non avrebbe mai creduto che le tette di una donna potessero piacerle tanto. “Fai come me, masturbati, sentirai meno male” le sussurò la suocera con voce alterata. Come un automa le obbedì.
“Cosa state facendo – gridò Filippo – ricominciate con le porcherie? Adesso vi sistemo io” e cominciò a colpirle in mezzo alle gambe. Ma loro non smisero affatto di torturarsi la figa. Mentre il frustino si aggiungeva alle loro dita nel martirizzare quei poveri clitoridi, non si capiva se più gonfi per il piacere o per le frustate. Silvia chiuse gli occhi e si morsicò le labbra. Sentì un fiato caldo sulla sua bocca. Aprì gli occhi. Sua suocera le leccò le labbra. Che fare? Socchiuse la bocca. La suocera le spinse dentro la lingua. Che fare? Silvia spinse la sua dentro la bocca della suocera. Stava baciando un’altra donna, ma quale altra donna… stava baciando sua suocera. E che bacio… Richiuse gli occhi e non volle neppure pensarci. Anzi no, una cosa la pensò: “Baciano meglio le donne”. Ad un certo punto donna Vittoria fu colta da convulsioni. Ansimava, rantolava e ansimava: “Oddio.. oddio… così… così, muoio… oddio vengo aaahhh…. uuuhhh… è stupendo… più forte… odddiooo.. picchia… straziami…. ooohhooho… dio mio… dio mio… picchia… più forte … sulla figa… scopami con quella frusta… squartami…. aaahhh… aaahhh… ooooooohhhhhhhhhh”. E si accasciò. Silvia non aveva mai visto un orgasmo di simile. E, a essere proprio sinceri, provò un po’ d’invidia.
Passarono un paio di minuti, che servirono a tutti e tre per riprendere fiato, poi la suocera si alzò e diede inizio al terzo atto della commedia. “Ma come ti sei permesso di picchiare tua madre”. La recita, a Silvia cominciava ad apparire un po’ ridicola. Ma i due la interpretavano in modo così serio e convinto, che era costretta a stare al gioco. “In tribunale applico la legge dello stato, ma a casa mia vale la legge del taglione. Ora spogliati”. Filippo, evidentemente era abituato a tutta la messa in scena, perchè passò dal ruolo del torturatore a quello della vittima con grande disinvoltura. Ben presto rimase in piedi nudo. Donna Vittoria prese da un cassetto due frustini. Uno lo diede a Silvia dicendole: “Avanti diamogli una bella lezione”.
Filippo si era tolto impermeabile, pantaloni e mutande. Ed era rimasto lì in piedi, con scarpe e calzini neri fino al ginocchio, con cravatta e giacca da cui spuntavano due natiche biancastre e pelose. Sembrava un paziente in attesa che il medico lo visitasse. A Silvia parve assolutamente goffo e vagamente comico, con quell’aria da bancario a culo nudo, se non fosse che l’aggettivo mal si inseriva nel contesto. Le considerazioni estetiche di Silvia furono comunque troncate dall’aspro sibilo della prima staffilata, che la suocera e dolce-mammina rifilò sulle chiappe del reprobo.
Quella donna era davvero assatanata e insaziabile. “Avanti, diamogli quel che si merita…… facciamolo pentire di quel che ha fatto.. non si frustano due donne indifese”. Incitava la suocera che, ogni volta che brandiva una frusta o qualunque cosa le assomigliasse, si trasfigurava. Filippo con le mani si teneva appoggiato al bordo del cassettone e incassava in silenzio e ad occhi chiusi i colpi. “Avanti che fai, hai paura del tuo maritino? ….. Guarda che a lui piace farsi punire”. Nel reticolo di neuroni cerebrali di Silvia continuavano a giungere impulsi raziocinanti, che cercavano faticosamente di farle ricollocare nella loro corretta dimensione e significato il quadro di avvenimenti in cui si trovava coinvolta. Ma che cosa è razionale? La norma o l’istinto? Non ebbe nè il tempo, nè la necessità di rispondersi. Perchè senza accorgersene il suo frustino stava già accarezzando il sedere del marito. Una da una parte e l’altra dall’altra, guardandosi in faccia con un sorriso complice e compiaciuto presero a colpire, la moglie la natica di sinistra e la madre quella di destra. Ad ogni colpo che assestava Silvia si sentiva palpitare tra le gambe. Filippo rispondeva con un lamento sordo e cupo, stringendo le due mani con forza attorno ai bordi del mobile, che aveva un ripiano di vetro, su cui le dita sudate lasciavano piccoli aloni appannati.