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Sono Marta. Era estate e faceva caldo

Era estate, faceva caldo, e l’ufficio era quasi vuoto; sono responsabile di uno studio di ingegneria e lavoravo svogliatamente.
Avevo deciso di prendere le ferie a settembre, per cui in quella settimana di agosto in ufficio eravamo solo io ed una giovane laureata in architettura: Marta.
Descrivere Marta non è facile, perché non è bella; in compenso a me piaceva da impazzire, e lo stesso effetto aveva fatto su tutto lo studio da quando era arrivata circa 6 mesi prima.
Non troppo alta, con i capelli biondi tagliati corti; il viso non era bellissimo, ma aveva un sorriso allo stesso tempo dolce e intrigante.
Doveva avere circa trenta anni.
Il corpo era invece interessante: due tette gigantesche, molto strette fra loro.
Due gambe non sottili e lisce, che allora erano anche abbronzate; le cosce invogliavano molto; e poi un culetto niente male, tondo e sporgente.
Verso le 10 passò nel mio ufficio e mi disse:
“Ti ricordi che oggi avevamo detto di sistemare l’archivio nel sottotetto?”.
Non risposi subito perché stavo guardando com’era vestita; senza reggiseno portava una canottiera aderente bianca e corta che mostrava un aura ampia e dei capezzoli lievemente induriti.
Poi una gonna cortissima senza il segno degli slip, cosa che mi incuriosiva molto; e un paio di sandali di vernice bianchi col tacco alto.
Mentre si avvicinava alla porta avevo notato che le tette le rimbalzavano ritmicamente.
“Sì, sì… mi ricordo; finisco questa relazione, ci andiamo nel pomeriggio avvertimi quando vogliamo andare”, le risposi appena recuperai l’uso della parola.
Mi sorrise e tornò nel suo ufficio; ebbi un salto al cuore, ero come imbambolato, mi resi conto che mi era diventato duro.
Cercai di riprendere il controllo della situazione….
La mattinata passò tranquilla, qualche telefonata dai cantieri, un fax.
La pausa la passammo insieme, come facevamo di solito al bar d’angolo, parlando del più e del meno.
Marta era fidanzata con un ragazzo invidiato da tutti e parlava già di sposarsi; essendo appena entrata a lavorare aveva poche ferie e così avrebbe raggiunto il fidanzato al mare solo la settimana successiva.
Passò a chiamarmi nel tardo pomeriggio quando ormai nel palazzo non c’era più nessuno ed un attimo a rinfrescare, presi con me il telefonino e la seguii verso il sottotetto; per salire c’era una scaletta ripida che spesso avevo odiato ma che stavolta amai profondamente; lei era un po’ avanti a me, praticamente avevo il sedere all’altezza dei miei occhi.
Rallentai per conquistare una prospettiva migliore e cogliere il profilo.
Arrivati nell’archivio aprimmo una finestrella per far girare l’aria afosa che si era accumulata; cominciammo quindi a rimettere un po’ a posto; poi dovemmo affrontare una serie di rotoli di disegni che Elena tirava fuori dagli scaffali per poi passarmeli.
Un gruppo di questi rotoli stava sopra il ripiano più alto dello scaffale ed Elena, con la massima naturalezza, avvicinò un tavolo e vi salì sopra; da quella posizione non potei fare a meno di guardare, scorsi perfino un ciuffetto di peli biondi del pube.
Era troppo.
Mi avvicinai a lei e era in punta di piedi, nonostante la finestrella aperta approfittai della situazione, la strinsi alla mia faccia, si irrigidì; per quanto ero stato sempre molto carino con lei non avevo mai mostrato la possibilità di un gesto improvviso.
Lei mi guardò e disse “Ma che fai!”.
“Oltretutto qualcuno affacciato ci potrebbe vedere!”.
Tentò una debole difesa, poi si arrese; le misi una mano sotto la gonna le scostai il tanga per guardargliela; era di peli biondi, arricciati e folti.
Cominciai a toccarla; gliela carezzai, andai a cercare il punto che più la faceva sospirare; prima nello spacchetto, poco più giù fino a quell’escrescenza, quindi più giù ancora fra le labbra a cercare il punto più caldo.
Scoprii che era molto bagnata.
Sentendola sudata e bagnata la girai, le sfilai le mutandine, la feci sedere sul tavolo, le allargai le gambe tuffando la lingua e strusciando le guance sulle cosce calde.
Aveva un odore magnifico, un sapore che sempre avevo desiderato assaggiare!
Lei cominciò a fremere.
Muovevo la lingua veloce prima sull’escrescenza poi in quel punto più saporito.
Mi stesi sul tavolo e me la misi sopra così da poter infilare la lingua nella sua cosa e avere davanti agli occhi il suo culo aperto.
Si ribellò appena le infilai un dito nel sedere.
Scese dal tavolo per andarsene.
La bloccai, le sollevai la gonna, e mentre mi sbottonavo i pantaloni feci sbucare il mio uccello duro dalle mutande per mostrarglielo.
La strinsi a me e glielo feci sentire, lei iniziò a baciarmi il petto poi si abbassò mi levò i pantaloni;
mentre mi baciava i peli della pancia se lo avvicinò alla bocca, quindi lo scoprì quasi a studiarlo nella penombra piano mentre io la guardavo e le accarezzavo i capelli.
Prima lo assaggiò con la punta della lingua poi iniziò a succhiarlo e ad ingoiarlo fino in fondo, lentamente; le potevo sentire i denti, il palato, il fondo della gola.

FINE

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