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Pronto soccorso

Il telefono squillò nel bel mezzo della notte. Assopita e con gli occhi semichiusi, stavo comodamente seduta all’interno della guardiola della clinica, intenta a leggere alcune pagine di Novella 2000.
Colta di sorpresa, da quell’improvviso rumore, ebbi un sobbalzo, richiusi la rivista e sollevai rapidamente la cornetta del telefono.
– Pronto Urologia. – dissi con voce assonnata.
– Sono il dottor Gobetti del Pronto Soccorso – rispose la voce all’altro capo del telefono – Abbiamo un’urgenza per voi. Avverta subito il medico di guardia che fra pochi minuti i portantini saranno lì con il paziente. Ah!
Preparatevi ad una bella sorpresa -.
Senza dare alcun altra informazione riabbassò la cornetta del telefono.
Ormai ero abituata a quel modo di fare, e non ne rimasi sorpresa più di tanto. Quel che più mi preoccupava, era il non essere stata correttamente informata sul tipo di patologia che affliggeva il paziente in arrivo.
Il nostro è un reparto ultra specialistico ed il tipo d’urgenze che vi afferiscono sono esclusivamente pertinenti l’apparato genito-urinario.
A quest’ora della notte con la masnada di pervertiti che c’è in giro per la città, c’era d’aspettarsi di tutto. D’altronde, anche in un recente passato, mi era capitato d’essere presente in servizio al momento del ricovero di pazienti con patologie molto particolari… Come nel caso di quel paziente, che andando alla ricerca di un particolare piacere solitario, si era infilato nell’uretra un metro di sottile filo elettrico. Per sua fortuna il chirurgo riuscì in endoscopia ad estrarglielo dalla vescica, superando non poche difficoltà.
Inoltre, non più tardi di venti giorni prima, fu ricoverato nel nostro reparto, un paziente con il pene completamente maciullato e scorticato. Alle domande dei medici, che volevano sapere come si era procurato quel danno, affermò che mentre girava nudo per casa, una porta sospinta dal vento si era improvvisamente chiusa schiacciandogli il pene contro lo stipite. Dopo alcuni accertamenti fu chiaro che le cause erano da attribuirsi ai morsi di un animale, forse di un cane….
Alla luce di questi precedenti, ogni volta che capita un’urgenza, specie di notte, quando il personale sanitario è ridotto alla sola presenza di un’infermiera e del medico di guardia, mi prendeva una certa apprensione.
Andai a svegliare il medico e con poche parole gli comunicai il sopraggiungere di un nuovo ricovero.
Dopo pochi minuti l’ascensore del reparto si aprì e due portantini spinsero la barella fuori dell’ascensore. Impazienti chiesero subito dove scaricare il nuovo ospite. Il viso di quest’ultimo era segnato dalla sofferenza e dal dolore, di sicuro bisognava fare in fretta.
Gli feci cenno di seguirmi e li introdussi nell’ambulatorio delle emergenze.
Subito dopo sopraggiunse anche il medico. Guardò la cartella d’accompagnamento del Pronto Soccorso ed affermò, rivolto a me:
– è un caso di priapismo, –
Rimasti soli col nuovo ospite, iniziammo con cura a spogliarlo dei suoi indumenti. Ogni nostro movimento era accompagnato da gemiti di dolore.
Impiegammo un bel po’ di tempo prima di riuscire a togliergli anche le mutande.
Quel che apparve non fu di certo un gran bello spettacolo. Il suo pene, che potevo valutare delle dimensioni di circa 20 cm. si ergeva dritto come un’asta della bandiera, ma il colorito era di un nero-bluastro, probabilmente per il persistere del sangue venoso all’interno dei corpi cavernosi, che per cause ancora da diagnosticare non riusciva a defluire correttamente nel circolo venoso.
Il medico di guardia cercò di mettere il paziente a suo agio con qualche battuta scherzosa, poi gli domandò:
– Mi spieghi signor Cervetti cosa le è successo… –
Il paziente, ancora intimorito e imbarazzato dall’inusuale situazione, prese a raccontare:
– Sa come vanno queste cose, dottore, anche lei è un uomo. Stavo facendo all’amore con la mia donna e l’avevo duro come non mai, ma non riuscivo ad eiaculare. Ce l’avevo durissimo, m’impegnavo, ma non ci riuscivo. Avrò continuato per mezz’ora, fino a quando ho iniziato a percepire una certa sensazione di dolore. L’ho estratto fuori della sua vagina e subito mi ha preso un dolore terribile. Abbiamo aspettato un po’ di tempo sperando che si sgonfiasse, ma non c’è stato niente da fare. Più trascorreva il tempo e più questo coso diventava scuro e mi doleva, così ho deciso di recarmi al Pronto Soccorso -.
– Ha per caso fatto uso di sostanze eccitanti – gli chiese perspicacemente il medico.
– In effetti, prima del rapporto avevo preso alcune compresse di Viagra. –
– Quante? Spero che lei sia informato e sappia che esistono varie confezioni con diversi dosaggi, da 25-50-100 mg. e che una dose massiccia può provocare gravi disturbi -.
– Credo di averne ingerito cinque compresse da 100 mg.. Alla mia età, ci tenevo a fare bella figura, non capita tutti i giorni di trovarsi fra le braccia una donna come quella che avevo incontrato –
Mentre fino a pochi istanti prima ero intenta ad osservare ed ascoltare la conversazione fra il medico e il paziente, sotto un profilo esclusivamente professionale, ora iniziai a guardarlo anche sotto l’aspetto fisico. Era un tipo sulla quarantina, con i capelli leggermente brizzolati sulle tempie. I vestiti accartocciati ai piedi del letto erano eleganti e raffinati, simbolo di agiatezza economica e forse anche d’appartenenza ad un alto ceto sociale.
Il viso spigoloso e asciutto si coniugava alla perfezione con il suo corpo muscoloso e all’apparenza agile.
I miei pensieri furono interrotti dall’intervento del medico.
– Si rende conto che ha ingerito una dose pericolosa e che i danni avrebbero potuto essere ben più gravi, ma chi gliel’ha fatto fare? –
A queste ultime parole il paziente rimase ammutolito, una lacrima gli scese lentamente dalla palpebra di un occhio. Subito girò il capo sul cuscino per nasconderla.
– Ora Erika – disse il medico rivolgendosi a me – lo mettiamo a letto, possibilmente in una camera singola e iniziamo subito la terapia. Dargli 10 gocce di Contramal ogni 12 ore, poi gli fai un bell’impacco di Voltaren pomata attorno al pene. Ah! Fai attenzione a non depositare la pomata anche sul glande, perché quella mucosa è molto delicata e il farmaco potrebbe provocare ulteriori danni. Infine direi di mettergli una borsa di ghiaccio sulla parte dolente. Domani decideremo col Primario cosa fare -.
Dopo averlo rivestito con un camicie in tela di carta bianca, lo feci trasbordare nuovamente sulla barella e lo trasportai in camera.
Per non tenere a contatto il suo pene con le lenzuola, che probabilmente con lo strofinio gli avrebbero causato un intenso dolore, gli misi un archetto metallico a livello del bacino. in modo da lasciarlo più libero nei movimenti.
Dopodiché gli avvolsi attorno al pene alcune garze impregnate di Voltaren e gli consegnai la borsa di ghiaccio. Gli diedi un bacio sulla guancia e mentre mi apprestavo ad uscire dalla stanza lui mi chiamò e disse:
– Lei è un angelo signorina –
– No! Io mi chiamo Erika, ma qui tutti mi chiamano Farfallina, mi chiami così anche lei. Arrivederci e buonanotte –
Dopo quella notte ebbi due giorni di riposo. Tornai a lavorare solo dopo tre giorni.
– Tutto bene? – chiesi a Sandra al momento dell’ingresso in servizio
– A proposito, come sta il paziente col priapismo? è andato a casa? –
– Purtroppo no! Credo non stia molto bene. Deve avere un dolore atroce, lo potrai verificare di persona –
Dopo esserci scambiate le consegne ci salutammo ed iniziai subito un giro del reparto, per verificare che tutti stessero bene.
– Come sta, il nostro signor Cervetti – dissi sorridendo, appena entrata nella stanza del malcapitato. Il suo viso non era certo dei più allegri. Se al momento del ricovero era solo preoccupato ora era terrorizzato.
Iniziò subito a piangere. Le lacrime scendevano sul suo volto disegnando rivoli gemmati. Quella scena mi commosse a tal punto che non potei fare a meno di sedermi sul bordo del suo letto, gli accarezzai dolcemente le guance
e gli asciugai le lacrime.
– Sono contento che lei sia tornata – mi disse – sto male, molto male –
– Adesso – gli dissi io – andiamo a cambiare la medicazione poi vedrà che starà meglio – così dicendo gli scoprii le lenzuola, tolsi l’archetto metallico, e delicatamente asportai le vecchie garze. Il suo pene mi apparve ancor più violaceo rispetto a quando lo avevo lasciato. Con difficoltà riuscii a cambiargli la medicazione, nonostante il dolore che gli provocavano le manovre delle mie mani sul suo pene.
– Ora però signor Cervetti, non si deve più preoccupare. Domani mattina, come ho letto in consegna, la sottoporranno ad un piccolo intervento chirurgico in anestesia locale. Una piccola incisione. e tutto tornerà normale come prima –
– Lei dice così per incoraggiarmi, ma lo so che non sarò mai più come prima –
– Be! Di certo non avrà la stessa attività che le produceva l’abuso del Viagra, ma sarà in ogni modo una persona normale, glielo assicuro, perché ho già trattato casi analoghi al suo –
– Lei è molto dolce, ma come faccio a crederle ora.. –
– Abbia fiducia e vedrà che tutto si risolverà per il meglio. Ora la saluto.. auguri per domani. Ciao! Ciao! – Lo lasciai così, con un flebile bacio sulla fronte.
L’intervento non comportò un grosso impegno da parte dei chirurghi, si trattava di sostituire con un lungo ago la causa che aveva provocato l’ostruzione delle vene dei corpi cavernosi.
Nei giorni seguenti diventammo molto amici, tanto che quando avevo un attimo di tempo mi recavo nella sua stanza per tenergli un poco di compagnia. Lui a sua volta mi faceva sempre trovare una confezione di cioccolatini Lindh al gusto di limone, i miei preferiti.
Dopo circa dieci giorni, ormai perfettamente guarito, giunse il momento delle sue dimissioni dall’ospedale. L’appresi leggendo il libro delle consegne, la sera in cui iniziai l’ennesimo turno di notte.
– Allora ci siamo, domani è il gran giorno, finalmente te né torni a casa, sarai felice! -.
Roberto, così si chiamava di nome, era disteso supino sul letto e mi guardava con occhi lucidi. Da parecchi giorni ormai non ero più abituata a vederlo così triste. Poi prese nuovamente a piangere come un bambino – Sono un fallito, non riuscirò più a stare con una donna –
Presa da sentimenti materni, m’inginocchiai ai piedi del suo letto ed iniziai ad accarezzargli una delle sue mani che stava distesa sulle bianche coperte. Appoggiai la guancia su quella mano ed iniziai a sfiorargliela, premendo le mie labbra sulla sua epidermide inondandola di flebili baci.
Fu allora che cominciai a sentire un certo prurito dalle parti della mia passerina, fino allora assonnata. La mia mano s’involò sull’elastico dei pantaloni del pigiama e in un attimo li fece scivolare ai suoi piedi. Le sue gambe pelose mi apparvero nel loro splendore, mi gettai a capofitto fra le sue cosce e cominciai a leccargliele, stuzzicandolo ogni tanto con qualche lieve morso alla radice dei peli. Osservando i suoi slip potevo notare un certo turbamento. Mi alzai in piedi e con destrezza glieli abbassai verso i piedi.
Quell’uccello, che solamente pochi giorni prima mi aveva colpito per la sua bruttezza, ora si ergeva come canna al vento nella sua rigogliosa bellezza, pieno di grazia e nell’armonia delle sue forme.
Mi fermai un attimo ad osservare quella deliziosa fattezza, d’un colorito bruno, immacolato e rifatto a nuovo dopo l’intervento. La mia mano non resistette a lungo, mentre la mia bocca golosa ed avida, ormai ripiena saliva anelava ad assaporare quel dolce piacere.
Iniziai a strofinare le mie dita sul suo scroto per assaporarne il gonfiore e la consistenza. Lo sentivo contrarsi con esili movimenti. D’impulso presi a leccargli da prima le palle, per poi risalire senza fretta, alla radice del suo cazzo, fino alla cappella. Ad ogni mia leccata, lo sentivo vibrare di piacere e questo accresceva il desiderio di morderglielo. Sentivo la mia fica, intrisa d’umore, contrarsi e secernere una quantità esorbitante di fluido, che ora sentivo scendere a rivoli lungo le mie cosce. Strinsi il suo cazzo fra le dita delle mani ed iniziai lentamente a farlo scorrere avanti e all’indietro, da prima stringendolo esclusivamente con l’indice, il medio e il pollice della mano, poi avvolgendolo completamente con il palmo. Ogni tanto, gli inumidivo la cappella con un poco di saliva per rendere più facile lo scorrimento.
Ogni volta che con la punta della mia lingua gli sfioravo la cappella, lo sentivo emettere brevi frasi di piacere
– Si! Si! Mi piace, mi fai godere. mi fai godere.. –
Gli leccavo l’uccello e gli massaggiavo le palle come una forsennata, tanto che ebbi quasi l’impressione di perdere i sensi e smarrire il lume della ragione, in un delirio d’irresistibile piacere.
Il suo uccello ora batteva ritmicamente. Sentivo le sue pulsazioni accelerarsi al contatto con le mie dita, solo allora lo infilai nella mia bocca avida. Un movimento sussultorio del suo bacino accompagnò la penetrazione del suo cazzo che si spinse a toccarmi il fondo della gola. I movimenti delle mie mani e delle mie labbra entrarono subito in simbiosi con quelli del suo bacino. Il suo cazzo entrava ed usciva celermente dalle mie labbra. Con la lingua intanto gli sfioravo l’orifizio uretrale solleticandolo di nuovi piaceri. Tenendo ben fermo il suo cazzo con una mano, presi a leccarlo lì dove una volta il frenulo si congiungeva con la cappella. Lo sentivo contrarsi in spasmi d’inaudito piacere. Lo ingoiai nuovamente fino a fargli toccare le adenoidi infondo alla mia gola. Con le mie labbra potevo quasi sfiorare la sua radice. Solo allora i miei sensi iniziarono ad assaporare il gradevole profumo che emana un cazzo quando è sfregato, un gusto tutto particolare che lentamente si sviluppa e raggiunge la massima intensità negli attimi che precedono l’eiaculazione.
Lo sentii contrarsi e sborrarmi in bocca, irrigidendosi in tutto il corpo, trascinandomi insieme a lui in un vortice di piacere. Ebbi un orgasmo. E mentre gustavo il suo saporito seme, n’ebbi ancora un altro e un altro ancora. Dopo avermi sborrato in bocca, non lo tirò fuori subito, volle farmi sentire ancora le ultime pulsazioni del suo cazzo.
Non lasciai disperdere alcuna goccia di quel prezioso nettare, leccandogli premurosamente anche quel poco che era fuoriuscito dalle mie labbra. Piano piano il suo uccello prese a perdere di consistenza. Era perfettamente guarito, era ritornato normale.
Aprii i bottoni del mio camice, presi dalle tasche una forbice ed abbassate lievemente le mie mutandine, tagliai un piccolo ciuffo di peli vicino alla mia fica e glieli porsi in regalo.
Lo salutai e non lo rividi mai più.
Noi infermiere viviamo costantemente circondate dalla sofferenza e dal dolore, ma non riusciamo mai a farci l’abitudine. Ecco perché abbiamo tanto bisogno d’amore. FINE

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