Un pomeriggio di primavera, particolarmente afoso, sdraiato scompostamente sul divano della mia stanzetta, provavo ad eseguire, ma senza troppa convinzione, alcuni brani alla chitarra.
Alla musica, di solito, mi dedicavo con interesse, ma l’apatia di quel pomeriggio aveva ben precise motivazioni: attendevo con ansia il ritorno di mia mamma dal ricevimento generale di istituto, dove le avrebbero fornito ragguagli sul mio scarso rendimento scolastico, e una lavata di capo non me l’avrebbe tolta nessuno (era seriamente in pericolo la mia “maturità”).
Il suono del citofono, che annunciava il temuto rientro materno, mi consigliò quantomeno di deporre precipitosamente strumento e spartiti, in modo da ostentare un atteggiamento meno indisponente nei confronti della disastrosa situazione scolastica.
La ramanzina arrivò, puntuale e inesorabile, e con la foga oratoria che mia mamma sapeva conferire a queste situazioni.
Altri motivi, però, mi distolsero dal meditare sui saggi consigli sentenziati nei miei riguardi: infastidita dal gran caldo, e desiderosa per questo di cambiarsi d’abbigliamento, si portò nella sua stanza lasciando la porta socchiusa, proprio per non interrompere la sua appassionata requisitoria.
Dibattuto fra l’imbarazzo per l’improvvisato spogliarello, e l’esigenza di rivolgerle lo sguardo quale prova della mia attenzione, prevalse invece il mio interesse per la sua avvenenza.
La prima scena ghiotta fu il vederle abbassare la gonna, previa apertura della cerniera lampo situata su di un fianco.
Rimase con una sottoveste di nylon leggero, abbastanza corta da lasciare scoperte le sue prosperose cosce, dalle quali, sfilate le seducenti calze autoreggenti, venne fuori quel bianco lattiginoso che le rendeva morbosamente invitanti.
Tolse infine la sottoveste, mostrandosi in mutandine e reggiseno.
Il fatto che si trattasse di mia mamma, non mi impedì di avere una vistosa erezione: da tempo, ormai, avvertivo i pruriginosi richiami del sesso e lei, non giovanissima ma alquanto piacente, e soprattutto così disabbigliata, mi stava eccitando al pari di una donna qualsiasi.
E feci anche una curiosa riflessione: non avevo mai pensato che una mamma, opportunamente svestita, potesse apparire simile a una delle tante pornodive ammirate nelle riviste porno che segretamente circolavano fra noi compagni.
Rimasi frastornato, perdendo la cognizione del tempo: la scena sarà sicuramente durata pochi minuti (non voleva, del resto, essere un’esibizione a luci rosse), ma mi sembrò piacevolmente eterna.
Indossata una tuta ginnica, leggera ma tale da coprirla da capo a piedi, persistette a lungo in me, come per un misterioso fenomeno fisico, l’immagine di quel ridottissimo slippino nero, straordinariamente eccitante, e delle sue prorompenti tette, a stento contenute in un abbondante reggiseno merlettato.
Dopo aver vagato, per un lasso di tempo imprecisato, tra fantasie erotiche ai limiti del proibito, rientrai, ma poco convinto, nella dura realtà degli ammonimenti: minacce e invettive mi costrinsero a dei generici propositi sui miei doveri scolastici.
Intanto s’era fatta sera e, rinfrancata dalla sua sfuriata, mia mamma non manifestò più alcun rancore nei miei confronti, anzi passò a un mare di belle promesse in caso di un mio ravvedimento.
Il tutto, però, attraverso un dialogo che negli ultimi tempi s’era un po’ offuscato.
E, intenzionata ad avviare subito questo dialogo, cominciò a tempestarmi di domande sui miei problemi più delicati: primo fra tutti, l’eventuale cotta per qualche ragazzina.
Avuta una risposta negativa (e forse un po’ preoccupata), spostò il discorso, seppur molto velatamente, sulla mia sessualità.
Ciò fece crescere il mio turbamento, provai quasi la voglia di confessarle l’assurdo: il sentirmi “innamorato” di lei e il desiderarla fisicamente!
Dopo una serata trascorsa insieme fino a tarda ora, davanti alla TV (era un sabato sera), andammo a dormire.
Ero sempre in preda al turbamento, e il mio sonno fu alquanto agitato: scosso continuamente da scene di torbido erotismo, nelle quali lei mi appariva come l’oggetto proibito dei miei più morbosi desideri.
Mi chiedevo, in quella notte insonne, se non fosse poi normale che un ragazzo, almeno una volta, provasse un tale desiderio per la propria mamma.
Non sapevo darmi una risposta, e cercavo allora il coraggio di affrontare, direttamente con lei, lo scabroso argomento (avrei ricevuto qualche sberla? ).
Riuscii a dormire un paio d’ore, ma sulla punta dell’alba, più inquieto che mai, mi alzai per raggiungerla a letto.
Era normale che a tuttora (per quanto non più bambino), andassi a invocare le sue coccole.
Lei non disdegnava affatto qualche carezza e qualche candido bacio, quale normale espressione d’affetto di una mamma verso il proprio figlio.
La cosa era poi comprensibile, dopo che con l’allontanamento di mio padre, aveva interamente riversato su di me la sua carica affettiva.
Ben diverse erano però, stavolta, le mie intenzioni: dormiva profondamente e la sua sottana, peraltro molto corta, si era completamente sollevata.
Per il candore delle mie precedenti incursioni, non avevo mai dato peso al fatto che dormisse quasi nuda, ma in quella occasione, le sue chiappe generosamente offerte alla mia vista, mi produssero un effetto ben sconvolgente.
E visto che continuava a dormire profondamente, ne approfittai per cominciare, da vero porcello, a palpargliele molto delicatamente.
Poi, reso ancora più audace dall’eccitazione, le toccai il buchino, con la tentazione di infilarvi il dito (pensavo alla cannula del clistere).
Intanto lei, continuando a dormire profondamente, si rigirò sull’altro fianco.
Avevo adesso, davanti a me, la sua fica adornata da una peluria incredibilmente folta e lussureggiante, avrei potuto palparle anche quella, ma una sorta di timore reverenziale me lo impedì: al cospetto del posticino dal quale mi aveva partorito dopo una libidinosa prestazione d’amore, mi sembrò di doverle usare un certo rispetto, ma forse fu solo ipocrisia (visto che mi recai precipitosamente in bagno, dove mi masturbai disperatamente, scaricando una incredibile quantità di sperma! ) FINE