Giovanna, ventiduenne studentessa in psicologia, è una ragazza con mille pregi.
Il maggiore di questi è che sa scopare da dea e che ha scelto me come suo primo amante.
Per non dire, poi, della serietà con cui studia, nutrendo il sincero desiderio di aiutare un giorno gli altri a liberarsi dei loro complessi e delle loro ubbìe mentali.
Ma si sa, il detto antico che prescrive al medico di curare prima se stesso vale sempre e per tutti, e così è stato anche per Giovanna, psicologa in erba.
Anche lei, infatti, ha dovuto fare i conti con un suo difetto caratteriale: l’invidia.
Non che fosse sempre e comunque invidiosa, con tutti e per tutto.
Giovanna nutriva invidia soltanto nei confronti di Elisabetta, una sua compagna d’università.
Del resto il motivo della sua invidia, bisogna riconoscerlo, era abbastanza degno:
Giovanna invidiava la porcaggine disinibita della sua compagna.
Pur assomigliandole quasi come ad una gemella e non essendo in niente da meno, si sentiva frustrata perché non riusciva a comportarsi da zoccola alla stessa stregua di Elisabetta.
Coetanee, entrambe snelle e sinuose, un po’ più abbondante di tette Elisabetta ma con glutei più alti e slanciati da puledra iniziata alla monta anale Giovanna, ambedue col profilo malizioso da ninfette fameliche di cazzo, con viso mediterraneo ugualmente incorniciato da un pagliaio di lunghi riccioli neri, le due sembrano sorelle.
Ma mentre Elisabetta è ormai nota all’intera popolazione maschile del pensionato universitario in cui ospita per gli assaggi di sesso che le è capitato recentemente di concedere ad alcuni neboruti colleghi, Giovanna invece s’è sempre limitata devotamente a lasciarsi sbattere da me soltanto.
Io so, per esperienza personale, che Giovanna non è meno troia di Elisabetta, la cui gran ficona pure mi chiavo periodicamente all’insaputa dell’invidiosa concorrente.
Posso attestare, dunque, che neppure Giovanna si risparmia al momento di scopare.
Sono orgoglioso di avere esplorato per primo tutti gli orifizi del suo corpo ancora acerbo già qualche anno fa, e di aver ininterrottamente continuato ad ottenere i suoi favori da mille e una notte, registrando puntualmente la lasciva corrispondenza delle sue voglie con le mie fantasie scoperecce.
Ma vederla diventare acida ogni volta che incontrava Elisabetta cominciava a preoccuparmi.
Mi sforzai di capirne il motivo e intuii la verità: il biasimo ipocritamente moralistico che Giovanna rivolgeva alla compagna era dovuto al fatto che non aveva il suo stesso coraggio di fare la porca pur avendone la vocazione.
Sintomi che giustificassero una tale diagnosi Giovanna ne mostrava parecchi.
Nei giorni scorsi la sorprendevo troppo spesso a guardare furtivamente i rigonfiamenti eccitati dei ragazzi che si accompagnavano in gruppo con Elisabetta, quasi ad immaginare cosa si perdeva; e leggendo con me, sul mio computer, i porno-racconti di questo sito, quando s’imbatteva in storie d’amplessi collettivi si lasciava assalire da una libidine selvaggia che poi toccava a me domare a colpi di nerchia.
Ma, non avendo il coraggio di tradirmi con altri e di emulare la sua odiata ma ammirata compagna, non le rimaneva altra alternativa che rodersi d’invidia.
Ho deciso perciò di intervenire con una terapia d’urto: ho dovuto stimolarla a conoscersi meglio e ad assecondare con più serenità le sue inclinazioni.
Ho chiesto aiuto a tre miei amici e ho tentato quello che consideravo ormai un urgente e doveroso intervento umanitario.
Oggi, nel pomeriggio, dopo che Giovanna aveva superato brillantemente un esame, l’ho invitata a festeggiare al modo nostro a casa mia.
Giovanna non era mai venuta qui, temendo l’incontro con i miei genitori.
Questa volta le ho garantito la loro assenza fino a sera.
E così Giovanna è venuta, come al solito infoiata ancor prima di cominciare.
Appena entra l’abbraccio affettuosamente e le nostre lingue si cercano subito e presto finiamo nudi sul lettone dei miei.
Lei è felice di vedersi oscenamente manipolata da me nel grande specchio applicato sulla parete di fronte al letto.
Mi sta già slinguando con dedizione il cazzo, percorrendolo tutto con ritmi sempre più incalzanti dai coglioni alla cappella, quando si sente trillare il campanello della porta.
Giovanna quasi sviene per la confusione, pensando di essere stata sorpresa da mio padre e mia madre improvvisamente tornati. Io la rassicuro e le chiedo di andare ad aprire; lei si ribella, preferendo scappare per i tetti, ma io ribadisco la richiesta con tono perentorio: deciso ad usarle persino violenza pur di aiutarla a sbloccarsi, la strattono per i riccioli ordinandole di calzare i tacchi a spillo di mia madre e di rimanere completamente nuda, poi le intimo di andare alla porta e di fare accomodare dentro l’ospite.
Sentendosi tradita, finalmente mi obbedisce.
Apre e si trova davanti il sorriso cupido di Stefano e di Luca.
I due amici entrano e io li saluto come se nulla di strano ci sia in quella situazione.
Prego Giovanna di servire loro un brandy e mentre i due sorseggiano impongo alla troietta di inginocchiarsi tra le mie gambe e le piazzo il cazzo tra le tettine ringonfie, invitandola ad esibirsi in una spagnola.
Lo scopo è di farle superare ogni ritegno davanti agli estranei: Giovanna, perplessa ma remissiva, comincia l’esercizio richiestole con la sua solita perizia da pompinara: mi scappella il pene e lo fa scivolare su e giù incastrato nel suo seno, mentre con le labbra serrate inizia a succhiare.
Stefano e Luca si avvicinano e lei si distrae per scrutare con la coda dell’occhio le loro reazioni allo spettacolo.
Le domando se tutto ciò la intrighi e lei annuisce senza artificio.
Le dico che stiamo facendo al cospetto di altri ciò che quasi ogni giorno facciamo nella sua camera al pensionato, dove lei si costringe a soffocare in gola il mugolìo dell’orgasmo per non far sentire niente a quelli della stanza accanto.
Le chiedo ancora cosa desideri in quel momento: mi supplica con lo sguardo di non farle confessare apertamente la fregola di farsi sbattere da quei due intrusi.
Ma deve farsi forza e sputare il rospo: glielo faccio dichiarare pubblicamente e le consiglio di implorare i miei amici di accontentarla. Luca e Stefano stanno al gioco e, come concordato, la trattano da bagascia.
Le si avventano addosso e la trascinano violentemente in camera da letto, palpandole il culo, strizzandole i capezzoli e frugandole la fregna.
Lei vince ogni residua inibizione e si lascia coinvolgere nell’orgia: si dimena selvaggiamente, mentre Luca le infligge i primi colpi di nerchia nella passera tenendole sollevate e larghe le cosce per le caviglie.
Stefano la penetra in bocca con l’intento di farsi insalivare per bene la nodosa minchia onde subito dopo infilarsi sotto di lei alla ricerca dell’ano: lo trova stretto, ma elastico ed allenato già da me ad ingoiare decimetri di cazzo.
Giovanna, pompata avanti e dietro, ansima animalescamente: incrocia per un attimo i miei occhi allibiti e si imporpora in viso.
Per farle vincere totalmente quella ingiustificata vergogna le accarezzo i capelli, apostrofandola gentilmente con una litania di insulti: troia, puttana, zoccola, vacca; infine le sussurro che mi ricorda Elisabetta.
Allora Giovanna capisce il perché della strana situazione in cui l’ho coinvolta e l’espressione grata che le si disegna in faccia mi dimostra che ne apprezza ormai senza riserve l’alta valenza pedagogica.
Intanto Stefano le inietta un clistere di sborra calda che le risale su per l’intestino e contemporaneamente Luca le schizza sul ventre.
Si scostano soddisfatti, ma è chiaro che non le hanno dato il tempo di maturare l’orgasmo.
La puledra si ribella subito alla loro rilassatezza, incitandoli a sfondarla di nuovo, a spaccarla in due a forza di chiavate.
All’improvviso si sente ancora bussare: stavolta, nonostante lo sperma le incolli le cosce, spontaneamente corre veloce ad aprire, pregustando le attenzioni che i nuovi ospiti le dedicheranno.
Si trova davanti Aziz, un massiccio sudanese di un metro e novanta per centoquaranta chili, che da qualche mese mi lava i vetri della macchina all’incrocio sotto casa: l’ho assoldato nell’occasione per regalare a Giovanna l’ebbrezza di 27 cm di cazzo nero (8 in più del mio) conficcati nello sfintere: tante volte la mia troietta ha accennato, per celia, a questo suo desiderio.
Il suo culo rotondo e sodo tradisce un fremito: l’ora della verità è giunta, deve dimostrarmi fino a che punto voglia assomigliare ad Elisabetta, che di africani se ne intende.
Si appoggia al muro, esponendo coraggiosamente le natiche, slanciate in alto dai tacchi a spillo.
Aziz, sputandosi sul glande turgido sino allo spasimo, l’afferra per i fianchi e la piega leggermente; poi la impala di botto e in due soli secondi prende a sbatterle i coglioni contro il culo, mentre l’enorme asta scura entra ed esce ogni volta interamente, senza fermarsi.
Giovanna viene sollevata da terra e rimane sospesa sulle punte dei piedi: mi grida di farlo smettere, mentre sotto i colpi implacabili del nero le braccia le si piegano e la sua faccia si schianta sulla parete.
Stefano accorre a sostenerla, ma siccome l’ossessa continua ad urlare le tappa la gola col cazzo:
Giovanna sembra soffocare rumorosamente, mentre Stefano la stantuffa strappandole i capelli alla nuca per costringerla ad assecondare il movimento del suo bacino. La situazione rischia di sfuggirmi dalle mani, perché gli ospiti non seguono più le mie direttive, esasperati dallo spettacolo offerto da quella superba cavalla che scalpita tra le loro braccia.
Il trio in cui Giovanna è ormai prigioniera si accascia sul letto, dove anche Luca s’è sdraiato pronto a ficcarle il cazzo in sorca.
Stefano mantiene agevolmente la posizione saldamente conficcato in gola alla giovane vittima, ma lo spostamento costringe il gorilla africano a districarsi dalla stretta delle chiappe di Giovanna: lei sente all’improvviso una triste sensazione di vuoto e gesticola alla cieca con le mani alla ricerca del membro scomparso reclamando così una seconda inculata.
Aziz rintraccia il buco ancora dilatato e di nuovo lo colma di sé.
Sentirsi tappata in ogni buco, completamente infarcita di cazzo, sbattuta con sincronia dai quei tre porci, scoprirsi docilmente in preda ad un orgasmo plurimo che non si placa come se fosse un attacco di singhiozzo cronico, la induce ad ammettere finalmente, con voce roca e balbettante ma con tono trionfante, di essere una troia.
I miei amici le sborrano addosso, mentre la sua lingua volteggia in aria ingorda, a caccia di qualche schizzo.
La lasciano fradicia di umori biancastri.
Un minuto dopo li ho già congedati.
Resto solo con lei, accovacciata sulle lenzuola umide: mi promette, ridendo, che le laverà lei per non allarmare i miei genitori.
Il campanello suona di nuovo: la prendo per mano per andare insieme alla porta, ma lei ha il timore educato di insozzare i tappeti del corridoio.
Preferisce aspettare distesa sul letto, ormai rassegnata a scoparsi tutto il condominio.
Ma rimane di stucco vedendomi arrivare con Elisabetta.
Senza proferire sillaba le due puledre si squadrano, entrambe stupite: Giovanna di incontrare la rivale maliziosamente agghindata con una minigonna da urlo e con una maglietta tanto sottile da risultare trasparente, e con una manina già protesa dentro le mie mutande; Elisabetta di vedere la collega tutta schizzata sullo stesso letto in cui pensava di dover essere chiavata da me.
Le prendo per mano e le invito a conoscersi meglio.
E mentre l’ultima arrivata lucida le tette di Giovanna con lunghe leccate, ormai amichevolmente ricambiata, io posso finalmente svuotarmi le palle gonfie all’inverosimile centrando da dietro il clitoride rosa di Elisabetta.
Missione compiuta!
Ora non mi resta altro da fare che comunicarne la cronaca al web, mentre sento che di là mia madre, china a pulire il pavimento sotto il lettone, fa il terzo grado a mio padre su alcune tracce sospette… FINE
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