“Non dirai sul serio, vero? “. Silvia era semisdraiata sul divano, l’eterna sigaretta con bocchino tra le dita e mi guardava con un’espressione tra l’incredulo e il divertito.
“Dico sul serio”, risposi. “Non l’ho ancora fatto”. Sedevo di fronte a lei, dall’altro lato del tavolino, sul puff di pelle che mi ero portata da casa. Erano tre mesi che condividevo con Silvia un bilocale situato all’ultimo piano di un vecchio condominio, a pochi passi dall’università. Io ero iscritta al secondo anno di giurisprudenza, lei al terzo di psicologia.
“Hai 22 anni e non ti sei ancora fatta scopare da nessuno? “. Evidentemente, per Silvia quello era un concetto che richiedeva tempo per essere elaborato. Del resto, bastava guardarla per capire che la sua prima scopata doveva risalire a parecchi anni addietro: bel viso, bel corpo, capelli biondi e lunghissimi, abbigliamento sempre al limite della decenza, aria sfacciata. I ragazzi della nostra età ne erano spesso intimoriti ed il più delle volte non andavano oltre qualche commento pesante, quando la incontravano per strada, o qualche goffo approccio in discoteca. Con quelli più grandi, invece, era tutta un’altra storia. Nel corso di soli tre mesi, avevo visto passare dalla nostra casa un ingegnere meccanico in trasferta, un dentista ammogliato e padre di due figli, un insegnante d’inglese, un imprenditore toscano dal fare un po’ losco e il professore con cui Silvia aveva dato l’esame di sociologia. Ammetto che un po’ le invidiavo questa vita sessuale frenetica, ma più di tutto ammiravo la sua inesauribile vitalità e la capacità di trarre, o meglio estrarre da ogni esperienza soltanto ciò che poteva darle piacere. Anch’io, pensavo, anch’io dovrei imparare a vivere così. Non sarò uno schianto come lei, ma carina sono carina. Devo solo trovare il coraggio di buttarmi e tutto mi sembrerà più facile.
E così avevo approfittato di quella sera nebbiosa, nella quale né io né lei avevamo voglia di uscire, per confessarle la mia inesperienza e quanto ciò cominciasse a compromettere seriamente i miei rapporti con l’altro sesso.
“Qui bisogna fare qualcosa”, decretò, quando le ebbi ripetuto che, sì, a 22 anni non mi ero ancora fatta scopare da nessuno. “E forse so anche chi potrebbe darti…una mano”, ridacchiò. “Si fa per dire”
Le dissi che non vedevo l’ora di sapere a chi stesse pensando. Sapevo che Silvia poteva attingere ad una lista inesauribile di nomi maschili, dai venti ai cinquant’anni e che tra questi c’erano anche un paio di ragazzi carini, che frequentavano il mio stesso corso.
“Roberto”, se ne uscì, lasciandomi di stucco. Roberto era il suo ragazzo da due settimane e l’impressione che ne avevo avuto, dopo la prima ed unica volta che lo avevo visto, era quella di un tipo piuttosto introverso, scorbutico, diverso, insomma, dal tipo d’uomo che Silvia era solita frequentare.
“Roberto chi? “, domandai, cauta.
“Quel Roberto”, disse. “Hai capito bene. Tu non lo sai, cara, ma lui ti ha già messo gli occhi addosso da un po’”. Mi lanciò un occhiata maliziosa. “è un po’ porcello, sai…”
Non capivo. O Silvia stava scherzando, oppure la situazione si stava facendo troppo ambigua per i miei gusti. “Vuoi dire che ti ha chiesto di me? ”
Silvia tirò una boccata di fumo ed espirò. “Mi ha detto che glielo fai venire duro”, disse.
Tacqui, sentendomi avvampare.
“Ha detto che vorrebbe vederti giocare con me. Ha detto che gli piacerebbe scoparti mentre io vi guardo. E che poi dovresti essere tu a guardare, mentre lui me lo mette nel culo. Ha detto proprio così: mentre te lo metto nel culo, Silvia. ” La sua voce si era fatta a poco a poco più calda e nei suoi occhi si leggeva chiaramente l’eccitazione che quella fantasia le provocava.
Io continuavo a tacere.
“Ha insistito così tanto che, se tu non mi avessi detto nulla stasera, te ne avrei parlato io. Certo, il fatto che tu sia vergine complica le cose. Per te, intendo. Lui, conoscendolo, non potrà che esserne deliziato, tesoro, deliziato ed eccitato come uno stallone da monta”. Mi stava mettendo volutamente in imbarazzo, lo capivo; voleva vedere come reagivo a quel linguaggio esplicito, al quale sapeva che non ero abituata.
“E tu cosa gli hai detto? “, riuscii a domandarle.
Silvia sorrise e si sporse in avanti, allungando una mano sopra il tavolino, fino a sfiorarmi il ginocchio.
“Gli ho detto che ciò che più amo nell’amicizia è la condivisione”, rispose. “Sei d’accordo, cara? ”
Stava salendo le scale. Dal soggiorno sentivo il fruscio dei suoi passi sui gradini di marmo, mentre Silvia aspettava accanto alla porta socchiusa. Eccolo, era arrivato.
“Ciao, amore”, sentii che lo salutava Silvia. Si stavano baciando, ora; lo si capiva dal silenzio che era seguito a quelle due parole sussurrate, un silenzio nel quale il respiro dei due corpi già eccitati era appena percepibile. Dopo un paio di minuti, entrarono.
Roberto non era molto diverso da come lo ricordavo. Un uomo alto, robusto, sui trentacinque anni, carnagione chiara e lineamenti marcati. Guardandolo in faccia, la prima cosa che si notava era la sua bocca perennemente imbronciata, le cui labbra carnose prendevano spesso una piega cattiva. Mi piaceva, lo dovevo ammettere. Era il tipo d’uomo che avrei sempre voluto conoscere, ma che non avevo mai trovato il coraggio di avvicinare. Un maschio aggressivo, sensuale, imprevedibile. Ha detto che vorrebbe vederti giocare con me. Le parole di Silvia risuonarono nella mia testa come un avvertimento in extremis. Ha detto che gli piacerebbe scoparti mentre io vi guardo. E che poi dovresti essere tu a guardare, mentre lui me lo mette nel culo.
“Ciao, Giulia”, mi salutò. Silvia se ne stava in silenzio, dietro di lui.
“Ciao”, dissi.
Mi si sedette accanto, sul divano e rimase ad osservarmi senza parlare. Silvia se ne stava sempre in piedi, poco distante da noi, stranamente silenziosa. Roberto cominciò ad accarezzarmi i capelli, come per tranquillizzarmi, ma c’era qualcosa in quel gesto che, al contrario, contribuiva ad aumentare la mia agitazione. Sai, è un po’ porcello… Non ero mai stata realmente sottoposta all’esame degli occhi di un uomo; di quel tipo d’uomo. Non mi ero mai trovata faccia a faccia con il desiderio violento di un uomo adulto, eccitato, impaziente di possedermi. Mi metteva a disagio. Mi faceva paura. E mi eccitava da impazzire.
“Perché non vi mettete a vostro agio, fanciulle? “, propose, voltandosi a guardare Silvia, per poi tornare a fissare i suoi occhi nei miei. “Fatemi vedere come vi rilassate quando siete in casa sole solette”
Allora Silvia venne a sedersi alla mia sinistra e prese a carezzarmi i capelli, come lui aveva fatto un attimo prima. “Rilassati, Giulia”, mi sussurrò. Le sue dita mi sfiorarono il collo e scesero verso la spalla. Indossavo solo un reggiseno bianco, a balconcino, un perizoma e scarpette da sera nere, dai tacchi alti, come era stato concordato il giorno prima. Silvia, invece, aveva accolto il suo uomo indossando un corto bustino nero, di pizzo, che le spingeva in fuori i seni generosi coprendole a mala pena i capezzoli; sotto, le calze nere velatissime erano sorrette da un reggicalze che le stringeva la vita, facendola sembrare ancora più sottile. Non indossava nient’altro. Mi abbassò il reggiseno, senza sganciarlo, mettendo in mostra i miei capezzoli già turgidi. Prese a leccarli, mentre le sue mani mi accarezzavano i fianchi, scendendo verso le natiche. Sentivo il respiro dell’uomo alla mia destra farsi più veloce e, con la coda dell’occhio, mi accorsi che si stava slacciando la cintura. “Brava, Giulia”, stava dicendo Silvia. “Brava”. Adesso aveva smesso di leccarmi i capezzoli e me li stava invece succhiando con gusto, mugolando piano. Sentii che mi stavo bagnando. Avevo voglia di toccarla anch’io, ma qualcosa dentro di me si opponeva a quel desiderio che ero abituata a considerare anormale; eppure mi stavo abbandonando alla dolcezza di quei baci e con il movimento del mio corpo aiutavo quelle piccole mani a scivolare sempre più giù lungo le mie natiche. La toccai, sfiorando la sua schiena dapprima solo con i polpastrelli, poi con tutta la mano: era morbida, calda, cedevole all’altezza della vita. Le accarezzai i seni e la sentii gemere, mentre le sue labbra scendevano a baciarmi il ventre. Capii cosa voleva farmi e la assecondai, abbandonandomi contro la spalliera del divano e divaricando le cosce al massimo. “Sì…”, mormorai. E Silvia mi baciò. Sul monte di Venere prima, poi più giù, sul clitoride, tra le labbra, sulla stretta fessura dalla quale sentivo sgorgare umore. Gemetti, chiudendo le dita sulle sue spalle e mi lasciai trasportare da quel piacere struggente fino alle soglie del godimento. Roberto ci guardava in silenzio, lo vedevo da sotto le palpebre socchiuse; si era sbottonato i pantaloni e aveva tirato fuori il membro, già duro ed eretto. Non se lo stava toccando, ma da come i suoi occhi guardavano la lingua di Silvia che scorreva su e giù lungo la fessura del mio sesso e dal ritmo sempre più affannoso del suo respiro, capii che presto sarebbe stato il suo turno. Il momento si stava avvicinando: quel membro stava aspettando me.
“Basta, Silvia”, la fermò allora. “Ora è pronta”
Silvia si fece da parte, insolitamente ubbidiente e andò a sedersi sul tappeto, accanto al tavolino. Roberto mi prese le spalle e mi spinse giù, finché non mi ebbe fatta sdraiare. “Adesso te lo faccio sentire, bambina. Ti faccio sentire il cazzo. Ne hai voglia, eh? “. Mentre sussurrava queste parole, mi aveva sfilato il perizoma e adesso mi stava sfiorando il clitoride con la punta del suo membro. “Ti sfondo, lo sai? Guarda quanto è grosso. Come piace a te, puttanella: grosso e lungo. Te lo ficco dentro tutto, porca, te lo faccio assaggiare fino in fondo. Prendilo…”. Adesso premeva contro l’ingresso umido della mia fica, cominciando ad aprirla. “Prendilo… senti come ti sfonda, come ti apre…”. Mi stava aprendo davvero, facendosi strada lentamente, incurante dei miei lamenti. Cercavo di rilassarmi come potevo, per ridurre al minimo il dolore, ma quel coso era enorme e mi stava facendo male. “Fermati…”, supplicai. Ma lui cominciò a spingere più forte, aprendomi di più, sempre di più, allargandomi come una guaina di gomma nuova, finché non avvertii uno strappo, un lampo di dolore acutissimo e gridai con tutto il fiato che avevo in gola. “Buona…”, sussurrò, cominciando a muoversi dentro si me. “Buona, bambina. Adesso ci pensa il cazzo a farti godere…dai, muoviti anche tu, da brava, così…”. Mi stringeva i fianchi, guidando i miei movimenti ancora incerti, incitandomi a godere. “Fammi sentire come godi, porca. Fammi sentire quanto ti piace prendere il cazzo…”. Io gemevo, sotto di lui, eccitata e fradicia di sudore, ma non riuscivo a godere. Sentivo la fica bruciarmi come una ferita aperta e le lacrime rigarmi le guance. “Non ce la faccio! “, gemetti. E allora lui aumentò il ritmo, cominciando a sbattermi con violenza, sempre più forte, sempre più a fondo, spietato, cattivo, fissandomi negli occhi con sguardo di sfida. “Va meglio adesso, troia? “, gridava. “Ti piace di più così? “. Io mi dimenavo, gridando, in preda al dolore, ma sotto quel dolore cominciavo ad avvertire anche un piacere crescente, come un’onda calda che avanzasse lenta e costante. Sentivo quel pezzo di carne dura sondarmi in tutta la sua lunghezza, premere contro le pareti del mio sesso per farsi ancora più spazio, arrogante, esigente. Su e giù. Dentro e fuori. Dentro e su, più su. Il dolore era quasi scomparso del tutto, mentre la marea del piacere stava salendo rapida dalle profondità del mio ventre. Guardavo Roberto montarmi, cattivo, ed ero eccitata dal suo volto contratto, che vedevo andare avanti e indietro sopra di me. “Mi piace”, ansimai. “Non fermarti, mi piace…”. Stavo per godere e sentivo che anche lui faticava a trattenersi. Volevo che mi venisse dentro, inondandomi la vagina di sperma, bagnando il mio godimento col suo seme caldissimo. “Godo…”, gemetti. La marea era quasi al culmine e, in quel momento, Roberto si fermò. Venni gridando, la fica spalancata attorno al suo cazzo immobile, le mani avvinghiate alle sue spalle possenti, i capezzoli gonfi di piacere.
Aveva resistito. Ne aveva ancora, per me e per Silvia.
Ad un suo cenno, Silvia si alzò e venne a fermarsi dietro di me. Ne sentivo il profumo, il calore, la voglia; ed il ricordo delle sue labbra morbide che si strofinavano sul mio sesso mi fece eccitare di nuovo.
“Adesso, da brava, leccale la fica”. La sua voce era dolce, profonda, suadente. Mi stava guardando serio, col volto ancora contratto per il godimento represso. “Falla godere con la lingua, Giulia, fattela godere in bocca questa porca. è vero che sei porca, Silvia? ”
“Sì, amore mio, la più porca di tutte”, sentii che rispondeva, col fiato corto. Poi montò sul divano e si sistemò sopra il mio viso, in ginocchio, a cosce aperte. La sua fica mi sfiorava il naso, penetrandomi con il suo odore pungente. “Leccami, cara”, mi esortò. “Te l’ho detto che è un porco, il mio amore. E a noi piace così porco, perché… Ah! “, gemette quando cominciai a stuzzicarle l’apertura umida con la punta della lingua. La sentivo già gonfia, palpitante, vogliosa di farsi allargare. Non vedevo nulla, a parte quel sesso aperto e bagnato sopra di me; non udivo nulla, a parte i gemiti di Silvia che riempivano la stanza. Roberto aveva abbandonato il divano ed ci osservava dall’alto, girandoci attorno, incitando Silvia a godere e me a succhiare. Ogni tanto si divertiva ad assestare una sonora sculacciata sulle natiche di Silvia e, dai gridolini con cui lei rispondeva, capivo che questa pratica doveva piacerle davvero.
“Bambina cattiva”, le diceva. “Piccola porca vogliosa”. E la batteva di nuovo, ridendo. Mi stavano eccitando e cominciai a toccarmi, sfiorandomi il clitoride col medio. Roberto mi vide e mi incitò a continuare. “Dai, troia, sgrillettati così! Ti eccitano le sculacciate? Ne vorresti anche tu? ” E così dicendo abbassò nuovamente il palmo sulle natiche di Silvia, facendola sussultare. “No, ragazzina, le sculacciate non sono per te. Sono un esclusiva del culo di Silvia, non è vero amore? “. Silvia mugolò un “sì, amore” di risposta, senza smettere di dimenarsi sotto la mia lingua. Capivo di aver toccato una zona che apparteneva soltanto a loro, un gioco erotico che non ammetteva intrusioni da parte di nessuno, nemmeno da parte della ragazza che stavano usando per il loro piacere. Mi sentivo umiliata da questa esclusione, ridotta a poco più di uno strumento senza valore, senza dignità, un vibratore umano che sarebbe stato accantonato non appena avesse esaurito la sua funzione. Ma non ebbi tempo di soffermarmi su questa sensazione, perché in quel momento Silvia venne, gridando come una matta, accasciandosi subito dopo sul mio corpo, sfinita. Allora Roberto la afferrò subito per i fianchi, senza darle il tempo di riaversi, costringendola a inginocchiarsi a terra.
“Mettiti a pecora”, le ordinò. Silvia ubbidì senza protestare. La vedevo ai miei piedi, di fronte al divano, gli occhi chiusi, i capelli spettinati che le ricadevano ai lati del viso, la schiena inarcata ad offrire le natiche sode e ben modellate. Roberto era dietro di lei, col membro durissimo e si stava togliendo i pantaloni. “Adesso ti inculo, porca”, diceva, “te lo ficco su fino in gola”. Silvia ansimava, sempre ad occhi chiusi, la bocca aperta, leggermente piegata in un sorriso. “Ficcamelo dentro, amore”, la sentii sussurrare. “Voglio sentirmi il tuo cazzo nel culo… dai… amore… dai… nel cu…”. Sbarrò gli occhi e gridò. La verga di Roberto l’aveva infilzata senza preamboli, facendole male. Vidi una lacrima bagnarle, ma da come si leccava le labbra e dal movimento rotatorio dei suoi fianchi, non si sarebbe detto che soffrisse davvero. Godeva. I miei occhi andavano da lei all’uomo che la stava sodomizzando, vogliosi, inquieti, finché lui non se ne accorse. “Avvicinati”, rantolò, senza smettere di muoversi dentro il culo di Silvia. “Mettiti a cavalcioni su questa porca e dammi il culo”.
Ubbidii. Adesso avevo le cosce aperte sulla schiena di Silvia e la fica a contatto con la sua pelle sudata. Il mio culo era proteso all’indietro, a piena disposizione di Roberto. Lo volevo anch’io, volevo il cazzo, volevo il dolore, le lacrime, il godimento. “Dammelo”, implorai. Ma lui continuava a fottere Silvia, come se gli bastasse solo guardarmi in quella posizione, senza fare altro, eccitandosi davanti alla mia voglia. Poi sentii le sue labbra appoggiarsi al mio sfintere e la sua lingua leccarlo tutt’attorno. Mi sentii invadere dal piacere e cominciai a ruotare il culo, come avevo visto fare a Silvia fino a quel momento. E allora udii un ronzio, come di qualcosa di elettrico che fosse appena stato attivato. Non capivo. Nella mia inesperienza, non avevo pensato a cosa quel ronzio dovesse far supporre in una situazione come quella. Sotto di me, Silvia scalpitava come una puledra impazzita, masturbandomi involontariamente con i colpi della sua spina dorsale. Roberto cavalcava. Il ronzio si faceva più vicino. “Ti sfondo il culo, porca”, ripeteva ed io non capivo se si stesse rivolgendo a me o a Silvia. Aspettavo, mugolando di piacere sotto la pressione di quella lingua che mi stava inculando, assaporando l’idea che tra breve mi sarei trovata al posto di Silvia.
Poi il vibratore mi aprì e cominciò a introdursi nelle mie viscere. Urlai, cercando di scendere dalla schiena di Silvia, ma Roberto mi aveva afferrata per i fianchi e non mi lasciava andare. Mi chiesi con che mano stesse manovrando quel aggeggio infernale e poi capii: lo teneva in bocca e me lo stava ficcando dentro a poco a poco. Sentii un secondo strappo, diverso dal primo e più doloroso. Mi aveva rotto il culo e non si fermava. In quel momento, Silvia godette, urlando fino a perdere la voce, ma lui non si fermò. Per quella che mi parve un’eternità continuò a inculare la mia amica col suo membro e me col vibratore, ringhiando come una belva inferocita, finché non venne con un rantolo soffocato.
Si accasciò a terra, lasciandoci in quella posizione grottesca – Silvia a quattro zampe ed io a cavalcioni su di lei, col vibratore acceso ficcato in culo – senza più preoccuparsi di noi.
Ora l’ho fatto, pensai mentre con la destra cercavo di estrarmi il cilindro ronzante dallo sfintere in fiamme. Ora posso cominciare a divertirmi anch’io. FINE
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