è arrivata la sera del nostro appuntamento. Ti ho invitata in un ristorante elegante, ma discreto. Ci sono pochi tavoli, una luce non invadente.
Sei arrivata puntuale, come ti avevo richiesto espressamente. Io ho tardato, e tu sei stata un po’ nervosa, ma quando hai capito chi ero mi hai accolto con un sorriso.
Indosso un completo grigio, ho degli occhiali piccoli con montatura sottile. Tu sei effettivamente carina e ben vestita nello splendore dei tuoi trentadue anni. Le calze scure sottolineano la curva delle tue belle gambe, rese ancor più slanciate dai tacchi alti. Hai una gonna corta, ma non esagerata, con uno spacco laterale molto lungo che lascia intravedere, a tratti, qualcosa di più.
Ci fanno accomodare ad un tavolo un po’ in disparte.
Ordino un aperitivo e poi del pesce, non ti faccio scegliere, ma ti ho chiesto se lo gradisci. Parliamo in generale, soprattutto di te. La tua emozione si coglie, però il vino bianco sardo che beviamo, dopo un po’ ti rilassa, e sei meno tesa, quasi spigliata.
Stiamo bevendo del mirto, quando ti chiedo di levarti le mutandine. Arrossisci e fai per alzarti, forse pensi di andare a farlo alla toilette. Ti prendo per un polso, dolcemente, ma fermamente e con un sorriso ti sussurro: “Qui”.
Ti risiedi e ti guardi intorno, nessuno sta facendo caso a noi, ma a te sembra di essere al centro della sala. Mi guardi con un’aria di sfida, non ci diciamo niente. Cominci a muoverti lentamente, è difficile stando seduta. La tua fronte si imperla leggermente di sudore. Mi guardi fisso, so che stai obbedendo, sei contenta di farlo e non ti interessa nient’altro.
Finalmente ci sei riuscita, fai cadere il tovagliolo e fai per chinarti per raccoglierlo e con esso le mutandine che sono accanto al tuo piede destro. Ti
fermo di nuovo con una leggera pressione su una mano.
Mi chino io, raccolgo il tovagliolo e gli slip e li appoggio sulla tovaglia. Fai per prenderli. “No, lasciale lì! ” ti ordino. Guardi di nuovo intorno, dopo che la concentrazione ti aveva distratta.
In effetti qualcuno si è accorto del nostro armeggiare. Un signore attempato, che cena solo.
Lo guardi, ma non distoglie lo sguardo. Scopri che la presenza di uno spettatore ti eccita.
Ti ho versato dell’altro mirto ed ho chiamato il cameriere per avere il conto. Sì, anche lui si è accorto dei tuoi slip neri, molto carini, appoggiati sulla tovaglia, ma, discreto, dissimula ogni reazione.
Ti porgo un piccolo sacchetto di seta, che tu apri curiosa. Vi sono due piccole sfere lisce, con una cordicella, un gioco erotico orientale che anche tu conosci. Non ti dico niente, ma tu capisci e questa volta non esiti.
Allarghi le gambe sotto il tavolo, mi fissi intensamente, con un sorriso di compiacimento, ma a tratti ti assicuri che il nostro spettatore non stia perdendosi niente. Mentre giocherelli con la mano sinistra con la seconda sfera, infili la prima nella tua vagina, già incredibilmente umida. Quando essa ti penetra chiudi gli occhi per un instante, percorsa da un tremito.
Mi guardi raggiante, prendi anche la seconda sfera e la guidi dentro di te. Questa volta non puoi lasciarti sfuggire un gemito.
“Brava”, ti sussurro, e afferro la tua destra leggermente intrisa dei tuoi umori portandomela alla bocca. Restiamo così per alcuni minuti fissandoci, mentre io assaporo leggermente le tue dita e sento il profumo che vi ha lasciato la tua vulva.
Finalmente il cameriere arriva, possiamo andare.
Ti scosto la sedia, ti alzi ed usciamo.
Non ci diciamo più niente, ma camminiamo a lungo nella sera. Tu ti appoggi al mio braccio, respiri profondamente, ogni tanto gemi e sento la pressione del tuo peso sul mio braccio. Ad ogni passo le sfere, muovendosi e oscillando dentro di te, ti inviano un’ondata di piacere. Stai languendo. Ad un tratto sei sopraffatta, mi fermi, mi abbracci quasi aggrappandoti ed ansimi profondamente mentre sei travolta dall’orgasmo. Ti bacio.
“Non toglierle”, ti sussurro all’orecchio, “fino a che non te lo dirò”.
Ti accompagno alla macchina e ci lasciamo con un sorriso. FINE
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