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Spremuta di limone

Ci sono persone che tutti i giorni, durante l’espletamento della propria attività lavorativa, vengono a contatto con i corpi di uomini e donne, io rientro in questa categoria. Ogni giorno, nel mio ambulatorio diagnostico, eseguo esami di densitometria ossea e misurazione del grasso corporeo.
Sono circa una quindicina le donne di tutte le età che quotidianamente, dopo essersi spogliante, si sdraiano completamente nude sul lettino densitometrico per sottoporsi all’esame mineralometrico.
Ad essere sincero quel che più mi turba non è l’anatomia dei loro corpi, ne ho visti ormai fin troppi, ma gli “odori”, i loro “profumi”.
In tutti questi anni ho imparato a distinguerne i diversi aromi, da quello più dolce di Anais Anais di Chacarel, a quello altrettanto dolce di Dune di Christian Dior, a quello aspro CK di Cavin Klein o a quello aggrumato d’Eau D’issey.
A dire il vero non sono particolarmente attratto dalle essenze e dagli aromi di questi profumi, anzi!
Il problema si pone dal momento in cui, l’eccessiva presenza di queste sostanze volatili, mi impedisce di gustare e assaporare, quel che più adoro nel corpo di in una donna: l’odore della sua epidermide, della cute, della carne.. , e anche dei suoi liquidi.
Non stupitevi di quest’ultima mia affermazione, se avrete pazienza di ascoltarmi ancora per alcuni istanti vi descriverò com’è nata questa mia originale fissazione.
Tutto ebbe inizio l’estate di due anni fa, quando tornando a casa dopo un’intensa giornata di lavoro, varcata la soglia di casa iniziai a spogliarmi degli abiti per sottopormi ad una doccia refrigerante.
– Rita! Sono io, sono tornato a casa, vado in bagno a farmi una doccia – gridai a voce forte per meglio farmi sentire da mia moglie, che presumibilmente a quell’ora era già tornata a casa, dal momento che la porta di casa non era chiusa con la serratura di sicurezza.
Non avendo alcuna risposta, mi avviai direttamente in bagno, togliendomi lungo il percorso gli indumenti che avevo indosso.
Non avendo figli, c’eravamo abituati a girare per casa con una certa libertà.
La porta del bagno era chiusa. Il rumore dello scroscio dell’acqua giungeva ora penetrante alle mie orecchie, aprii la porta e intravidi dietro la paratia in vetro del box della doccia le sinuose forme del corpo di mia moglie.
– Rita, sono io, ti dispiace se faccio la doccia insieme con te? -.
Il rumore dell’acqua cessò e la paratia scorrevole si aprì.
– No! Vieni pure, anch’io sono appena tornata a casa ed ho proprio voglia di rinfrescarmi -.
La osservai nello splendore del suo giovane corpo, mentre gocce d’acqua si depositavano per brevi istanti sul suo petto per riprendere la loro corsa verso il basso.
Rita in verità non è una donna appariscente, i suoi modi eleganti nascondono invece una carica erotica fuori del comune, forse per questo presi, anni fa, la decisione di sposarla.
La sua pelle di un fresco colorito roseo mi apparve in tutta la sua bellezza.
Sui seni minuti, ma non troppo, facevano bella mostra le areole di colore rosa dei suoi capezzoli, appuntiti dall’effetto refrigerante dell’acqua.
I suoi lunghi capelli di un rosso carminio, le scendevano lungo il collo fino a lambire con le loro estremità il petto.
– Vieni – mi fa ancora lei – c’è posto per entrambi -.
Il mio uccello nel frattempo si era inerpicato e si mise a pulsare come le lancette di un orologio.
I nostri corpi iniziarono a sfiorarsi delicatamente, con garbo. Le nostre mani conoscevano alla perfezione ogni recondito anfratto di quelli altrui, non v’era bisogno d’alcuna parola.
Sapevo come per lei era importante la tenerezza e quanto l’eccitasse lo strofinio delle dita delle mie mani sui suoi morbidi seni.
La sua mano, scese sicura a sfiorare il mio orifizio anale, per poi risalire lentamente lungo la linea perinatale, fino ad afferrarmi lo scroto. Un lieve fremito mi fece vacillare, e non trovai di meglio che appoggiarmi con la schiena alla parete di mattonelle.
Con l’altra mano afferrò il mio uccello ed iniziò a farla scorrere con ritmo lento, in avanti e all’indietro.
Mentre rivoli d’acqua scorrevano sui nostri corpi, presi a sfiorarla con le labbra nella parte anteriore del collo, nell’incavo appena sotto la glottide, zona a lei particolarmente sensibile, che sapevo produrle intenso piacere.
Risalendo lungo il collo con la punta della lingua, m’insinuai nel padiglione auricolare. L’effetto fu immediato, ora le sue gambe presero a tremare, la sentivo fremere e sussultare, bisbigliando incomprensibili parole al mio orecchio.
Con noncuranza prese a divergere le gambe, lasciando un piccolo passaggio fra le cosce, ove far filtrare le dita della mia mano, che velocemente s’insinuarono fra quel pelo morbido come la seta che ricopriva il suo pube.
Iniziai a sfiorare le sue grandi labbra, impiastrate d’umore, per poi soffermarmi a lungo sulla clitoride eretta e dura come il mio uccello.
Fu a questo punto che lei prese in mano un panno di sapone di Marsiglia, quello per fare il bucato, e me lo passò fra le mani.
Era un passaggio abituale, desiderava essere insaponata e lavata con le mie mani, come si conviene ad una scolaretta, senza fare uso di sostanze tossiche e nocive per la pelle come i “bagni schiuma” e i “detergenti intimi”.
La pelle sarebbe così rimasta morbida, liscia e vellutata e soprattutto avrebbe mantenuto l’odore della sua epidermide intatto come io desideravo.
I nostri corpi, integralmente ricoperti di sapone, presero a sfiorarsi scivolando l’uno sull’altro provocando palpitanti brividi d’intenso piacere.
Fu a quel punto, che Rita mi donò il primo d’innumerevoli istanti di godimento e segnarono l’inizio di un susseguirsi di nuove eccitanti scoperte amorose.
– Ne ho voglia, non ne posso più! – mi sussurrò all’orecchio.
Così dicendo allargò le gambe e prese copiosamente a pisciare.
Un intenso getto d’urina di colore rosso fucsia prese ad uscire dalla sua passerina.
Sul momento rimasi stupito da quell’avvenimento, soprattutto per il suo colore, per il resto c’ero abituato, era infatti pratica comune che durante la doccia ricevessi fra le mani il frutto della sua vescica.
Ero così eccitato che al termine della minzione, le sollevai con una mano la coscia destra e tenendola sollevata le infilai il mio uccello, caldo come il carbone ardente, nella sua fica.
Rita ora contraeva con piccoli movimenti l’interno della fica, che dentro, sentivo liscia come i petali di una rosa.
L’amplesso, stante lo straordinario turbamento non durò tantissimo. L’eccitazione fu così grande che le sborrai a più riprese dentro la fica, senza alcuna precauzione.
Lei venne almeno due o tre volte, a giudicare dal modo convulso con cui si era messa a fremere e sussultare Passato l’attimo, mi colse un senso di paura e preoccupazione.
– Hai visto il colorito delle tue urine? – le dissi.
– Non t’impensierire – rispose Rita – Il fatto è che da qualche giorno ho alcune linee di febbre e il dottore mi ha prescritto un antibiotico, il Rifadin, avvertendomi di non preoccuparmi del colorito delle urine, perché è dovuto all’eliminazione di alcuni enzimi della rifampicina che è il suo principio attivo -.
Da quel giorno sulla nostra tavola, all’ora di pranzo, non mancano mai le confezioni dei più disparati coloranti, dal blu di metilene che colora le urine di blu, al verde di marculio che le fa diventare color prato inglese.
Naturalmente stiamo ben attenti a non farne abuso, poiché la loro tossicità potrebbe causare notevoli danni all’organismo, così li usiamo con parsimonia e all’occorrenza..
Partendo da questa prima fantastica scoperta ci gettammo anima e corpo alla ricerca, e allo studio delle piante aromatiche, e di quelle da frutto.
Un bel mattino, quando ormai era ormai trascorso un anno dalla prima fantastica scoperta, mentre ero in bagno intento a radermi la barba, mi sentii chiamare da dentro il box della doccia dalla voce suadente di Rita.
Aprii l’anta di vetro e mi sentii afferrare da una sua mano che m’invitava ad entrare. Seppure ancora in mutande non volli deluderla e mi portai all’interno.
– Vieni, entra ho qualcosa d’importante da farti assaporare. –
– Ma dai.. lo sai che ho fretta, sono già in ritardo, debbo andare a lavorare – le dissi.
– Assecondami e vedrai che non te ne pentirai – mi rispose.
– Inginocchiati, chiudi gli occhi ed apri la bocca – disse con voce fievole ma suadente.
Sentii scorrere nella mia bocca un caldo liquido dal sapore dolciastro simile all’arancio. Aprii gli occhi e vidi che il liquido defluiva dalla sua passerina. Per un attimo rimasi sorpreso, ma il piacere fu tale, che tutto eccitato mi liberai in un attimo di canottiera e mutande. Misi Rita carponi, con le mani ferme sulle ginocchia, e cingendola ai fianchi con entrambe le mani le sputai un poco di saliva sul buco nero del suo bel culetto e sulla punta del mio cazzo. Aiutato dalla saliva, lo introdussi con l’aiuto della sua mano nel suo sfintere.
Avevamo scoperto l’uovo di Colombo, infatti, bastava per un giorno intero ingerire a pranzo ed a cena , insieme a circa tre litri d’acqua, esclusivamente della frutta della specie Citrus, per ritrovare nelle urine il sapore corrispondente al frutto ingerito.
Nella nostra casa d’allora alterniamo giorni con pasti normali ad altri vegetariani a base di limone, arancio e pompelmo.
La pelle di Rita ora è più lucente che mai, e a differenza delle altre donne, non ha bisogno né di profumi né d’oleose fragranze e noi viviamo felici e contenti. FINE

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