Siamo nella mia bettola, io e lei, e non ho legna per il camino e mi è rimasta una sola candela.
La desidero intensamente, lei lo sa. E mi guarda e mi fissa, con i suoi occhi più scuri della notte, più profondi del mare. Se ne sta seduta davanti a me, sprofondata nella poltrona, e mi fissa, e ha la bocca semi aperta, quasi fosse bocciolo di rosa che sta per schiudersi. E quanto vorrei poter aprirlo io.
Ma non posso. Non Posso! Devo trattenermi, non posso permettermelo, non posso avere anche lei.
Che Dio possa liberarmi da questa maledizione, da questa sofferenza.
Lei continua a fissarmi, e la sua bocca.
Mi sta stringendo il cuore nei suoi artigli.
Dio, devo sembrarle pazzo, pazzo. Non riesco ad alzare la testa dalle mani, non riesco a sollevarmi ed affrontarla direttamente. Chiudo gli occhi, ma sento i suoi su di me. è una presenza intollerabile, è come essere nudi.
Non è possibile, non esiste una sofferenza più grande, non esiste pena più dolorosa. Perché? Perché le ho chiesto di venire? Perché lei ha accettato? !
Non posso compromettermi ancora di più.
Mi alzo. Ora la mando a casa. “Le bambine a quest’ora vanno a letto”. Ma lei non è una bambina. Mi alzo e vado davanti a lei, e la guardo e mi sembrano attimi lunghi secoli e lei mi sorride. Sotto il rosso vellutato delle sue labbra c’è un candore bianco, bianco di perla. E come brilla la luce della candela sulla sua pelle chiara. C’è qualcosa di strano nel suo sorriso, qualcosa di sommamente diabolico e ferino, forse perché sembra quello di un angelo. Mi viene quasi da piangere nel vederla.
– Le bambine a quest’ora vanno a letto.
– Non sono una bambina.
Ed è l’estasi. L’aria era talmente stagnante e l’atmosfera così ferma, che questo suo sussurro, tanto flebile da sbattere sui denti, tanto morbido da sembrare seta, sembra tempesta. Ed è quello che c’è nella mia anima, ed è quello che mi rode la mente, dannato tarlo di mia follia.
Continua a fissarmi e vorrei urlare. Non capisci? Vattene! Non ti voglio vedere più perché mi stai uccidendo. Riesco a vedere che tu sai, tu capisci quanto soffro, tu capisci la mia pazzia. Cristo, come ti diverte, riesco a vederti ridere di me. Vorrei poterti strappare gli occhi, perché mi trafiggono come lance.
– Hai qualcosa da bere?
Indifferenza. Come puoi dirlo in questa maniera? Come fossi qua per una chiacchierata.
Non ti rispondo. Ritorno a sedermi. Darti la schiena mi fa sentire meglio.
Dalla poltrona ti fisso anche io. Ora ho acquistato sicurezza. Mi vedi? Ti sto guardando senza più paura.
è una finta e mi sento morto. O forse è la vita? è forse vita quella che mi sta scorrendo dentro? Questo fervore che mi infiamma? Se questa è vita, preferirei essere morto.
La candela si sta consumando, e la sua fiamma continua a danzarti sul volto, e ti illumina gli occhi. In tutti e due, nel loro profondo, ve ne è un’altra che balla rossa. E sembra sempre più lontana, e più distante, e sprofonda, inghiottita da un buco nero. Sempre più lontana, più distante. Sprofonda.
Sto per perdermi anch’io lì dentro. è tutto buio.
Sbatto gli occhi e davanti a me c’è sempre lei. Li chiudo, non posso sopportare di vederla.
Fruscio d’abiti. Li riapro e ti vedo più vicina, fra noi non c’è più la candela. Io mi faccio piccolo davanti a te, ho paura. O forse no. Forse sono felice. Non importa.
Si è seduta sulle mia ginocchia e mi continua a guardare, sorridente.
Il suo volto si avvicina, ed io sono paralizzato, non posso reagire, o forse non voglio muovermi. Aspetto, e sono eoni ed eoni, l’eternità.
Mentre stringi gli occhi la tua bocca si schiude, e, non è possibile! Sei già così vicina. Le tue labbra si posano sulla mia guancia.
Il tuo bacio è come l’assenzio, bruciante, pungente, doloroso. Ma buonissimo. è sogno e delirio, incubo e follia. Il cuore sobbalza, non me lo sentivo così vivo da troppo tempo.
Rimani accostata a me, sento il profumo dei tuoi capelli e sembrano onde di tenebra su cui navigare verso l’infinito. La tua mano dal bracciolo striscia fin sullo schienale, e poi più in alto, e fin alla mia nuca. Ed è come se mille aghi mi trafiggano la schiena.
Non andartene, ti prego. Rimani.
Vattene per favore.
Passano interminabili attimi di nuovo, ma tu sei vicina, e sento il tuo respiro, ne sento l’odore, il calore. Sei ancora accostata a me, sei ancora qua, sento il tuo seno schiacciato al mio petto. Io probabilmente non ci sono più. Forse sono già morto.
Non lo sono e ti sento muovere. Non andartene, non spostarti. Non capisco come tu sia messa, sono come ubriaco. Dovrò avere una faccia da idiota.
Mi sta slacciando la camicia, parte dal bottone in alto, poi quello più sotto, poi quello più sotto, poi sotto ancora, ed ancora.
La sua testa si avvicina al mio petto, si piega di lato e le sue labbra mi baciano ed è come rimanere senza aria. I baci mi bruciano. Basta! Smettila!
Sento la sua lingua strisciare.
Hai rialzato la testa, orgogliosa, fiera.
Sei contenta, hai sentito il mio piacere vibrante, ne hai assaporato il flusso, l’onda vitale. Posso ancora trattenermi, lo sento.
Pensare ad altro. Penso ad altro, non penso alla tua mano che scorre fino alla spallina del vestito e fa scivolare lentamente il pizzo sul braccio, prima da una parte poi dall’altra. Non penso a ciò che vedo, a ciò che bramo da mesi, da quando ti ho vista ad una mia lezione. Non penso al tuo seno destro quasi scoperto, al capezzolo che si intravede scuro tra le pieghe.
Non penso al vestito che continua a scendere e alle spalline che sono ormai a metà braccio. Ed i tuoi seni sono lì, davanti a me, fragili, sodi, bianchi e morbidi. Vorrei afferrarli, assaggiarli, morderli. Ma non lo farò, posso ancora tirarmi indietro.
La stanza è nel silenzio più assoluto, quello dei cimiteri e delle cripte.
Solo a tratti sento il tuo respiro. Ti abbassi di nuovo, verso di me.
Scendi, e scendi ancora, e appoggi una mano sul mio cuore. Sento i tuoi seni caldi appoggiarsi al mio torace, sento la tua eccitazione, e la tua bocca è davanti alla mia e non posso più sottrarmi al magnetismo dei tuoi occhi.
Devo provare un’ultima volta.
– Potrei essere tuo padre.
Ma è una frase vuota, priva di convinzione.
– Voglio essere la tua bambina.
Perdonami padre Iddio per quello che sto per fare.
E le tue labbra si uniscono alle mie, ed è proprio come ho sognato per tutto questo tempo. Morbide, dolci, rosse, rosse come l’inferno della mia perdizione. Ed è un bacio così appassionato che mi travolge e distrugge. Ti sento inarcare la schiena, ti sento aggrapparti alle mie spalle. Ed anch’io ti abbraccio e ti stringo e mi maledico. Ti spingo all’indietro e finalmente posso gustare dei tuoi seni, li prendo nella mia bocca, e li stringo, e sento i tuoi gemiti, il tuo ansimare. Mi stacco e tu hai ancora la testa buttata all’indietro, con i riccioli neri che ti toccano la schiena, e la tua bocca è aperta in uno spasmo di piacere. Voglio baciarti di nuovo, ti tiro a me con violenza e ti stringo. Il contatto con la tua pelle calda è bellissimo, ne voglio ancora.
Non sento di poter resistere ancora. Mi alzo con te sulle ginocchia, e non smetto di baciarti. Cadiamo sul pavimento duro, mi sento sempre di più un qualcosa che si discosta dall’uomo. Sento il riaffiorare delle passioni più primordiali e sepolte.
Non posso resistere più. Ti sfilo l’abito lungo e lo getto via, lontano, ed ho solo più occhi per te, nuda e pallida davanti a me, con i capelli sparsi intorno al viso, a guisa di un’aureola di un angelo oscuro. E ti guardo la bocca: continui a sorridere.
Mi slaccio i pantaloni con foga, con violenza, sono al culmine dell’eccitazione, non posso più controllarmi. E ti scivolo dentro con furore, e sento il tuo respiro mancare.
Sotto le mie spinte la tua schiena si piega come un arco, e mi stringi sempre di più la schiena. Le tue unghie affondano nella mia pelle, poi nella mi carne, ed anch’io affondo sempre di più in te. Il respiro affannoso, i gemiti si trasformano in sommesse grida, non so se di piacere o di dolore, ma questo non m’importa. Sei stata tu a volere, sei stata tu a cercare questo.
Le unghie scivolano sul mio corpo coperto di sudore, e le tue urla riempiono la stanza, prima così vuota e fredda, ora così calda e piena di passione.
Non demordi, ne vuoi ancora, lo sento, sento che stai per raggiungere il culmine e metto tutta la mia forza nelle spinte. I capelli mi ricadono sul volto, e gocce di sudore mi cadono dalla fronte.
Sento le tue gambe sollevarsi, dietro di me, e ne prendo una e me la poso sulla spalla e vado sempre più a fondo, sempre più giù.
Non riesco più a vedere i tuoi occhi, sono serrati, non riesco più a vederne la luce.
Ti contrai d’un colpo, e i tuoi artigli mi si conficcano più profondamente nella schiena. Mi lascio andare, perdo ogni parvenza di razionalità. Sto per raggiungere il culmine anch’io, e quando arriva il momento faccio per uscire. Tu però, nella tua crudeltà mi trattieni, ed io mi riverso in te, dentro. E non riesco a pensare, per un momento il cervello mi si è spento, staccato dal resto del corpo. Crollo da un lato, non ero consapevole, cerco di consolarmi. Ma non è vero. Lo sbaglio è stato mio. Ed inizio a maledirmi ed il senso di colpa mi attanaglia, e mi brucia. La tua mano mi si appoggia alla guancia e fa per accarezzarmi, ma io mi scosto, e mi alzo furibondo e con un calcio rovescio il tavolo.
Ti sembro un pazzo vero? Adesso sei davvero spaventata, e sei seduta per terra, nuda, inerme, debole ed impaurita. I tuoi occhi grandi che mi fissano supplicanti fanno solo montare la mia collera ancora di più. FINE