Lui non c’era, un buco di due giorni.
Che cosa sono due giorni di assenza in un gioco che dura una vita?
Da tempo giocavano insieme, ogni tanto: lei, lui e l’amico di giochi.
Lei, come ogni sera prima di andare a letto, aveva aperto la posta.
Un soffio, ma una piccola mail le era arrivata, con tempismo eccezionale.
Conteneva una proposta, una proposta indecente.
Incontriamoci a metà strada, un giorno intero.
Lei giocava solo per amore, mai da sola.
Ne avevano parlato molte volte, lui avrebbe voluto che lei giocasse anche da sola.
Lui avrebbe aspettato i suoi racconti, duranti i caldi lunghi amplessi notturni e avrebbe prolungato il piacere di entrambi.
Ma lei non voleva, le sembrava un tradimento e, con il tradimento, il gioco perdeva il suo ruolo leggero e diventava un macigno.
Giocare da sola.
No, non l’avrebbe fatto.
Però era allettata dall’idea di trascorrere quel giorno in piacevole compagnia.
Ok, ma solo per un pranzo, una passeggiata, un gelato.
Era arrivata ad Orvieto quando il sole invernale, pallido ma già alto, colpiva in pieno la facciata del Duomo.
La strada panoramica era breve, troppo per fugare gli ultimi dubbi sulla bontà della decisione presa.
Che strano incontrarsi così, in due.
Si erano sempre incontrati in tre e le era sembrato normale.
Due.
Avvertiva come qualcosa fuori posto.
Una leggera angoscia stava facendole perdere sicurezza.
Questo non doveva succedere, la lucidità era il suo forte.
Ormai il ballo era iniziato, vietato tornare indietro.
Si era seduta al Cafè della piazza e, quasi subito, l’amico si era seduto vicino a lei.
Gioviale, come sempre.
Emozionato, come al solito.
Con un piccolo pacchetto in mano, galante ovviamente.
Le ginocchia sfiorate sotto il tavolo.
Un piccolo bacio sul palmo della mano.
Lo sguardo che indugia oltre la scollatura.
Il te era ormai finito.
Dopotutto, perché no?
Avrebbe potuto tenersi in contatto con lui, con gli sms.
Una nuova forma di gioco.
Anzi, gliene aveva spedito uno subito “siamo qui, che aspetti? “.
Lei non sapeva bene dove lui si trovasse in questo momento, magari in volo, magari un ritardo lo avrebbe trattenuto più a lungo del previsto, magari già atterrato.
Quest’ultima ipotesi, era, in effetti, ciò che lei sperava.
Nessuna risposta dal cell.
Un’idea: il pozzo di San Patrizio.
Terreno neutrale per guadagnare tempo.
Di solito era pieno di gente, non quel giorno.
Un altro messaggio: “….. senza fondo, come il pozzo di San Patrizio”.
Chiacchierando scendevano verso il basso, sui gradoni resi un po’ viscidi dall’umidità.
Erano arrivati, adesso bisognava risalire.
Uno sguardo in alto, dove il piccolo ovale di luce sembrava lontanissimo.
Le aveva afferrato una mano, per aiutarla, senza darlo a vedere.
Lei non lo avrebbe accettato.
Non c’era più nessuno in giro, erano già tutti in cima.
Piano piano, stavano per arrivare anche loro due.
Un po’ di affanno.
Si era fermata, sedendosi a terra.
Un altro messaggio: “allora? Se non ti sbrighi ………”
Niente.
Lei seduta e l’altro in piedi, le stava accarezzando il viso, i capelli.
L’aveva aggirata per massaggiarle la base del collo, le spalle.
Quel calore le stava sciogliendo i nodi di tensione e di stanchezza.
Le mani le stavano massaggiando le braccia.
I dubbi si affievolivano con la dolcezza di quelle carezze.
Si era appoggiata, quasi una resa.
Un pensiero, Lui dove sarà?
Arriverà a tempo?
Se lo era trovato davanti.
L’altezza era quella giusta.
Le era bastato appoggiare le mani su quell’evidente segno di gradimento, per ottenere un mugolio.
Lo aveva, allora, accarezzato.
Il tessuto dei pantaloni sembrava inesistente.
Le mani di lei erano molto sapienti, sapevano dove essere incisive.
Forte del fatto che non ci fosse più nessuno, aveva sbottonato quel breve tratto con esasperata lentezza.
Aveva preso possesso di quel calore così intimo, ma, che, in questo momento, le apparteneva.
La voce le arrivava da lontano, forse erano proteste, ma lei non lo stava a sentire.
Un ultimo messaggio: “gioco da sola”
Lei aveva preso la sua decisione, avrebbe giocato da sola, così, in modo leggero.
La pelle calda, morbida e tesa era preda di quelle mani.
L’eccitazione montava lenta, ma inesorabile.
Come sempre, la malìa che lei sprigionava era qualcosa di irrinunciabile, come l’acqua che scorre lenta fino alla foce.
Giochi rubati.
Lei aveva avvicinato le labbra, questo era ciò che attendeva con timore.
Da ora in poi non avrebbe più nemmeno voluto sottrarsi.
Gli mancava l’aria, non riusciva a tenersi in piedi, si era, quindi, appoggiato al muro.
Lievi rumori.
Qualcuno? No, nessuno.
Le labbra morbide lambivano leggere la pelle increspata.
Scendevano e salivano senza sosta.
La lingua, umida e calda, disegnava scie di piacere dalla base all’apice.
Talmente bello, talmente forte, quasi doloroso.
La bocca socchiusa.
Sprofondare nel baratro di quella dolcezza.
Avrebbe vissuto mesi di questo ricordo.
Lei sapeva che era venuto il momento.
Stringendo saldamente i glutei, l’aveva imprigionato in un abbraccio totale.
Un grido soffocato, di gioia e liberazione.
Sulle labbra di lei, un piccolo cristallo bianco.
Un rumore.
Adesso c’era qualcuno.
Lui era arrivato da un po’.
Li aveva visti dall’altra parte del pozzo ed era rimasto là a godersi la scena.
Li aveva raggiunti.
Cercava il cristallino sulla bocca di lei.
L’aveva baciata come se non ci fosse domani, in preda ad una eccitazione folle.
Non c’era stato nemmeno bisogno di togliere il tanga.
Si erano presi così, selvaggiamente, sulle scale, in un crescendo di spasmi e mugolii.
Dieci secondi o dieci ore?
Era veramente tardi ora.
Si erano ricomposti, alla meno peggio ed erano risaliti, defilandosi davanti alla portineria.
Lei aveva riacceso il cell.
Era arrivato un messaggio spedito almeno una mezz’ora prima: “hai fatto la puttana per me, ti amo da morire”. FINE
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