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Fluidi

Camminavo meccanicamente sull’ideale binario che congiungeva il mio appartamento in affitto con la facoltà mentre andavo pensando a quanto odiavo il mattino e tutta la sua luce. Gli occhiali da sole neri proteggevano le mie iridi azzurre dai bassi ed intensi raggi che sembravano a tutti i costi volermi svegliare completamente. Quasi non mi ricordavo nemmeno di essere uscito da casa, quando in università fui travolto dall’orda di cartellette multicolori, zaini e visi che mi sfilarono davanti secondo traiettorie sempre imprevedibili. Tutti quei colori stavano effettivamente quasi riuscendo a destarmi dal torpore, anche se, i venti minuti che mi separavano dalla fase REM del sonno non erano ancora sufficienti. Senza bere un caffè mi sarei inesorabilmente stampato sulla fronte il profilo di formica nera che bordava il banco al massimo dopo dieci minuti dall’arrivo del professore in aula. Mi diressi verso le macchinette nell’atrio pregustando quell’intruglio bollente, mentre pensavo che probabilmente il vero motivo per cui il caffè dei distributori automatici in università è così schifoso e amaro, é perché a chi lo beve non resta che svegliarsi inevitabilmente. Cercai di riunire tutti i centesimi sparsi nelle mie tasche di giacca, cartella e pantaloni. In quell’ammasso di nuove euro-monete facevo ancora fatica a mettere ordine, come del resto tra le mie idee sonnolente. Arrivai alla macchinetta a testa china spulciando nel palmo della mano nel tentativo di dividere i colori e di mettere insieme i 35 centesimi che mi separavano dal risveglio.
Elena mi travolse con il suo squillante “Ciao Paolo! ” ed il mio faticoso tentativo di euro-classificazione andò in fumo. Alzai gli occhi e la guardai da sopra gli occhiali da sole pronunciando le prime parole della giornata: “Ciao Ele, come va? “. “Come se non lo sapessi” mi risposi. Il giorno prima c’eravamo visti per otto ore di lezione; in quel momento la mia prontezza di riflessi doveva essere davvero scarsissima. “Bene grazie” mi rispose e continuò: “Ero qui a prendermi un caffè prima di quella palla di lezione che ci attende, e guarda che cosa ho trovato”. Mi indicò un cartello appeso al muro in quella che era diventata una perfetta bacheca temporanea per annunci in formato cinque metri per tre. Un muro grigio, di quel classico colore che una brava casalinga avrebbe scelto per un ripostiglio ‘perché così non si sporca troppò, ormai completamente tappezzato di A4 più o meno colorati che offrivano camere condivise, lezioni private, appunti sbobinati, dispense fotocopiate e qualsiasi altro genere di cose uno studente avesse potuto fare per guadagnarsi qualche soldo extra. Tra loro campeggiava un avviso che era stato probabilmente diramato per tutti i campus dagli studenti di medicina. In un elegante e un po’ asettico blu scuro su fondo celeste si leggeva che il dipartimento di ricerche epidemiologiche della facoltà di medicina cercava aiuto per far progredire una nuova ricerca sull’AIDS. Si richiedeva, in nome della ricerca medica, la collaborazione di tutti gli studenti di sesso maschile che, in cambio di cinque minuti per un piccolo test, avrebbero ricevuto un controllo in più sulla propria salute. Non ero mai stato un volontario modello ma l’impeto della bionda e formosa crocerossina che indicava e leggeva a voce alta il cartello mi fece cambiare idea. “Dai Paolo, perché non andiamo a vedere? Sono solo cinque minuti e poi in fondo è per una nobile causa… ” Quando mi guardava con quel sorriso inclinando un po’ la testa non riuscivo proprio a dirle di no. Provai a resisterle: “Ma Ele, abbiamo lezione, tra poco dovremmo andare a seguire Acustica e… “. Mi interruppe sghignazzando: “Cosa? Non ho sentito! “. Ecco mi mancava solo lei con questa battutina scontata sul corso. Che diamine mi era passato per la testa quando lo scelsi? Qualsiasi resistenza ad ogni modo ormai era inutile, anche perché di andare a lezione non ne avevo sicuramente più voglia ed il caffè non bevuto con il decolleté della compagna di studi ebbero facilmente ragione sulla mia esigua forza di volontà.
Attraversammo tutti i campus, passando dall’orda schizofrenica di cartellette e tubi da disegno di architettura agli occhiali impassibili ed intellettuali d’ingegneria, per poi sfilare le ventiquattrore abbronzate di economia ed incontrare finalmente i primi camici immacolati di medicina. Lei nel frattempo mi parlava d’impegno sociale e ricerca medica, ma tra un gesto di assenso ed un altro, in un discorso che stentavo a seguire, pensavo sempre più che per invogliare gli studenti a votarsi a quei temi sarebbe stato molto più efficace se su quel manifesto avessero dato spazio alla bella infermierina scosciata che solo poche sere prima avevo scaricato via internet da un sito XXX. Quel mattino, comunque, sarà stato il risveglio affrettato o la mancanza forzata della mia ragazza a causa della lontananza da casa, ma la quantità di ormoni che avevo in circolo m’impediva di mettere bene a fuoco le idee.
‘Facoltà di Medicina – Dipartimento di Ricerche Epidemiologiche –
Ambulatorio Analisì; così recitava il cartello di cartoncino azzurro appeso al tamburato nobilitato bianco che negli angoli denunciava la scarsità dei fondi statali per le università. La porta introduceva in una piccola sala d’aspetto vuota da cui si dipartiva un corridoio. Una giovane infermiera bruna ci venne incontro e ci accolse richiamata dal campanello collegato alla porta. “Siete qui per l’avviso diramato in università vero? ” disse sorridendo. Il terrore per gli aghi, i medici e gli ospedali che mi ricordai solo allora di avere m’incollò momentaneamente le labbra e permise ad Elena di anticiparmi. “Si, il mio amico Paolo voleva partecipare alla ricerca” esclamò. La mia mente stava maledicendo il mio torpore e la mia dannata abitudine di puntare la sveglia solo quindici minuti prima di uscire da casa, mentre si sforzava, nel contempo, di elaborare una scusa plausibile per togliermi da quella situazione. “è una cosa molto semplice, sapete di che si tratta? ” riprese la mora girandomi intorno ed interponendosi tra i miei occhi e la porta d’uscita che cercavo invano di avvicinare col pensiero. “è solo un prelievo di liquido seminale” continuò sorridendo nel tentativo di addolcirmi. Alzai la testa e le piantai gli occhi sbarrati in faccia. “COSA? ? ? ” dissi sbalordito. “Beh, dai Paolo, questa sarebbe a scopo scientifico” disse Elena ridacchiando più del solito al mio fianco. L’infermiera mi passò una penna ed un foglio da compilare mentre io pensavo ai modi in cui avrei potuto uccidere quella biondina che mi aveva incastrato in questa assurda storia. Avrei voluto almeno tentare di coinvolgerla, ma conoscendola chiederle così a bruciapelo di aiutarmi ‘nell’operazione umanitarià che dovevo andare a svolgere mi sembrava un buon modo solo per ricevere un sonoro due di picche. Riconsegnai il questionario e ricevetti in cambio un contenitore sterile. Dovevo essere rosso come un semaforo mentre la ragazza mi faceva professionalmente accomodare nella saletta per i versamenti, e sarei voluto sicuramente sparire quando mi disse: “Faccia con comodo e poi lasci pure il contenitore sul tavolo”.
“Un cretino”. Sì, mi sembra il modo più corretto per esprimere come mi definivo; da solo, in piedi, con un bicchierino sterile in mano in una stanzetta con un lettino medico, un lavandino, una sedia e delle riviste porno appoggiate su di un tavolo. Mi avvicinai ai giornali mentre mi chiedevo ancora come avevo fatto a finire lì. Un cretino, sì, ma pur sempre un cretino curioso. Sbirciai le copertine mentre tentavo di convincermi che prima fossi riuscito a far finire questa storia e meglio sarebbe stato. Iniziai a sfogliare le prime pagine di ‘Superfigà che preannunciava ‘Audaci gnocche per sesso sfrenatò.
Aprii il paginone centrale e tentai di concentrarmi sulla slave mora, con tette e figa al vento, che incatenata in una di quelle posizioni da trapezista e con tutta la mercanzia in favore di camera, veniva penetrata dalla sua amichetta-padroncina in latex rosso, con l’aiuto di un vibratore da complesso d’inferiorità. Dopo un’accurata esplorazione dei ‘particolari labialì della porcellona lesbica qualche sussulto iniziò ad animarmi il basso ventre nonostante la situazione imbarazzante. Sentii dei passi per il corridoio. “Chissà come se la starà ridendo Elena. Quella stronzetta con un seno da urlo… Uhm… ” pensai mentre mi aprivo i jeans sbiaditi “glielo piazzerei volentieri proprio in mezzo alle tette ora, così impara a farmi fare questa sega socialmente utile… ” e così pensando mi avvicinai alla porta, con l’uccello in una mano e il contenitore nell’altra, abbassandomi a spiare dalla serratura se trovavo quello che ultimamente era il mio soggetto di masturbazione preferito. Il trapezio di visuale che mi si parò davanti era sicuramente curioso: la porta della stanza di fronte alla mia era socchiusa ed Elena si stava sporgendo per guardare all’interno. Questa sì che era una situazione eccitante, il busto della curiosa era tutto proteso in avanti e la magliettina di tessuto verde che le fasciava il seno metteva in mostra che lo spettacolo di cui stava godendo la eccitava parecchio. “E così all’angelica Elena piace guardare”, pensai, mentre potevo ben immaginare cosa stesse spiando nell’altra stanza. Nonostante il mio spirito esibizionistico e il mio orgoglio personale fossero rammaricati dal fatto che non stesse guardando me, questa piccola pugnalata al mio ego non cancellò l’immagine che si andava delineando nella mia fantasia. La tentazione di uscire dalla porta, alzarle la gonna e scoparmela a pecorina mentre sbirciava qualcun altro che si faceva una pippa mi stava facendo impazzire. Il cazzo m’iniziava a pulsare tra le dita e la voglia di venire si stava facendo insistente.
Mi inginocchiai davanti alla porta e, mentre le guardavo il culo ed immaginavo le sue forme e la sua eccitazione, presi a muovere più velocemente la mia mano. Proprio quando le labbra le si schiusero in un’espressione di apparente stupore, venni soffocando un piccolo gemito e centrando il bicchierino proprio all’ultimo secondo. Mi rialzai, rosso in volto, e andai a sedere un istante per ripulirmi con dei kleenex presi da una scatola sul tavolo asettico. Aprii l’acqua del lavandino e mentre sentivo altri passi nel corridoio mi sciacquai le mani ed il viso per cercare di recuperare l’espressione stravolta che dovevo avere. Chiusi il contenitore sterile e lo appoggiai insieme alla rivista. “Altro che Superfiga, mi basta una normale universitaria porca” sembrava dire il mio cervello mentre aprivo sorridendo.
Elena mi corse incontro con l’indice di traverso sulle labbra ad indicarmi di non parlare. La guardai perplesso mentre mi tirava per una manica fino alla porta socchiusa di fronte. Anche se mi sentivo ‘svuotatò, la curiosità era sicuramente rimasta: “chissà chi stava guardando prima” mi dissi. La seguii dubbioso e spiai all’interno. Era una stanza molto grande con un sacco di scatoloni, tavoli ed attrezzature mediche; sul fondo c’erano la mora sorridente dell’ingresso con un’altra ragazza intente con delle provette e dei contenitori. Mi scostai, un po’ deluso, non mi sarei di certo aspettato di vedere quello. Azzardai sottovoce: “Ma che cosa… ” Elena mi diede una gomitata e m’incitò a tacere e osservare ancora. Le due donne stavano parlando a bassa voce ma il silenzio del corridoio mi aiutò a percepire alcune parole: “Mi raccomando, diluiscilo bene in dieci parti di latte. ” Stavano travasando lo sperma dalle provette in un unico gran contenitore. Ero esterrefatto. Mi scostai dalla porta allucinato, senza parole, quando la mia compagna mi bisbigliò all’orecchio con una risata trattenuta a stento: “Leggi la scritta su quel flaconcino pieno! ” Mi riaccostai all’anta e scorsi la serie di piccoli contenitori in plastica appoggiati su una scatola e pronti per essere imballati, su di uno si vedeva chiaramente la scritta: “Fluido antietà vitaminico iperproteico confezionato espressamente per: Beauty Farm Harmonie – Académie scientifique de beauté”. FINE

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