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Ancora ansimava

La stavo guardando, ancora ansimava per il precedente orgasmo e già cominciava a strusciarsi, e le dissi di andare a lavarsi, era veramente una cagna in calore “Una cagna và a quattro zampe e tu lo sei, non è vero? ” lei annuì e mosse il suo grosso culo da vacca verso il bagno. Mentre si stava rinfrescando feci due piccole considerazioni: la prima era che avevo una gran troia come madre, la seconda che sarei stato uno stupido a non approfittarmene. In quel mentre arrivò Giacomo, il suo attuale amante. I miei rapporti con lui non erano mai stati molto cordiali, per cui ci salutammo freddamente, e quando mia madre torno dal bagno li salutai. Avevo un le chiavi di un piccolo monolocale, lontano un paio di isolati, di proprietà di un vecchio amico; un tempo ero stato fidanzato con sua figlia ed in virtù dell’amicizia, se non lo aveva affittato ai turisti, mi consentiva di abitarci nelle rare licenze. Entrai, mi distesi sul letto, e mi addormentai. Dormii tutto il giorno e tutta la notte mi svegliai la mattina dopo affamato come un lupo, presi il telefonino e composi il numero di Louise.

“Buon giorno, ” mi rispose, “Dormito bene? ” bofonchiai qualcosa, e le domandi che ore fossero

“Sono le nove amore, vuoi che ti porti qualcosa da mangiare? ” ” Si, ce la fai a restare quì a pranzo? ”

le chiesi, alla sua risposta negativa (doveva vedere una sua amica) mi arrabbiai. “Sù, non fare così, fino a mezzogiorno posso restare, domani poi sarò tutta tua. ” visto che rimanevo ancora in silenzio mi disse ” Come vuoi che venga vestita? ” Quella troia sapeva come prendermi. “Allora tacchi a spillo, autoreggenti, camicetta trasparente…. no, tu sei la mia schiava, e le schiave non vestono così, hai ancora quella vecchia spolverina, quella con cui fai tutti i lavori più pesanti? ” era un tessuto ormai liso rattoppato, più di una volta, ” Si ma…. ” ” Ecco allora ti metterai quella, un paio di vecchie ciabatte, e basta. ” ” Ma così …… ” ” Ti metterai un fazzoletto in testa e nessuno ti riconoscerà, sarai solo una vecchia serva. In una borsina metterai scarpe, calze, gonna e camicetta, quelle con cui andavi con Michael ” ” Così entro da serva ed esco da puttana ti ringrazio! ” “Se vuoi puoi anche non venire posso telefonare a qualcun altra. ” Le dissi ormai completamente sveglio, “Scusami non volevo farti arrabbiare, cosa ti porto da mangiare? ” “Tu sai quello che voglio, per me e per te. ” Mi alzai stiracchiandomi, e diedi una occhiata in giro, Cristo che casino, era vero che c’era stata una festa, ma avevo detto a Louise di tornare a pulire, bene, motivo in più per punirla. Arrivò tutta di corsa, preoccupata che qualcuno la vedesse. Nessuno avrebbe riconosciuto in quella che sembrava una squallida serva la donna tutta scollature ed abiti aderenti desiderata da mezza città.

Mise sul tavolo due panini, una bottiglia di birra, una di coca cola, una melanzana, quattro mollette appendiabiti, il suo collare e guinzaglio, il mio frustino da cavalli, e la scodella con il suo nome.

Senza una parola, avevo lasciato la porta aperta, si tolse la spolverina, si mise il collare ed il guinzaglio ed aspettò le mie prime parole a quattro zampe. Girai intorno a lei con il frustino in mano, e lasciai andare un colpo sul culo, ” E così oggi non hai tempo per me, brava . ” Cominciò a dimenare il culo dicendomi che era la mia cagna, ” le cagne anno la coda, tu no ma ora rimediamo. ” Presi il mio pennello da barba e glielo infilai nel culo; rimase zitta un paio di secondi, erano pur sempre quasi 6 centimetri di diametro poi mi ringraziò per averle dato la coda. Quella dimostrazione di sottomissione mi calmò, presi un panino e mi sedetti, lei arrivò subito ad offrirmi la schiena come panchetto. ” Hai mangiato? ” le domandai. Lei mi rispose di no, alzai le gambe e le offrii parte del mio panino, sculettava contenta, presi allora la bottiglietta di coca ne bevvi un po’ e versai il resto nella sua ciotola. Era uno spettacolo eccitante vederla lappare il liquido dalla ciotola, aveva il culo ritto ed il pennello da barba spuntava fra le sue chiappe, ma era troppo corto. La feci venire vicino e sostituii il pennello con la bottiglietta di coca non senza qualche mugolio: oltre all’aumentato diametro il liquido ancora contenuto le faceva frizzare. Le tolsi la bottiglietta dal culo, il collare e la mandai in bagno a svuotarsi della cocacola.

Si alzò un po’ preoccupata, sicuramente si domandava cosa avessi in mente. Me lo chiese quando, tornata dal bagno, si inginocchiò davanti a mè. La guardai in silenzio, mi alzai, la presi fra le braccia, la distesi sul letto e la guardai. Il tempo cominciava a lasciare il segno, ma era sempre una delle più belle donne della città, mi chinai su di lei e la amai. fui dolcissimo, ma nello stesso tempo forte ed impetuoso, le donai orgasmi a raffica, tanto da lasciarla senza fiato. Fu piacevole anche per me, a parte il fatto che preferisco incularla perchè è più stretta, fa sempre piacere sentire una donna che si scioglie fra le tue braccia. Rimanemmo abbracciati senza fiato per alcuni minuti, poi si alzò, si fece una velocissima doccia e tornò da me, rannicchiandosi fra le mie braccia.

Adesso eravamo nella fase dolce, delle coccole, di cui aveva bisogno ogni tanto per sentirsi ancora donna. A modo mio la amavo, non più come madre ( o meglio non solo ) ma come donna. è vero che la trattavo da puttana e anche peggio, che ne avevo fatto la mia schiava, ma solo perchè era lei che lo voleva. Nella mia, pur corta, carriera di soldato in giro per il mondo ne avevo viste di tutti i colori: ragazzine violentate, torturate ed uccise, ragazzini a cui infilavano la canna del fucile nel culo e poi sparavano ed altre atrocità che non mi hanno fatto dormire per giorni. Sono arrivato ad uccidere due soldati, due miei compagni, per quello che avevano fatto e la cosa non mi dato nessun fastidio, ma un senso di liberazione. Mi strinsi a Louise e mi lasciai andare in un sogno cupo, pieno di incubi.

Mi svegliai che ero solo, un biglietto mi rammentava che aveva questo suo appuntamento con una amica a cui non poteva rinunciare. Mi avrebbe spiegato tutto il giorno dopo, quando avremmo potuto passarlo da soli. La cosa mi incuriosì, ma decisi che ci avrei pensato solo al momento, mi alzai, e visto che erano ormai le diciassette, decisi per una bella doccia. La serata trascorse tranquilla, mi concessi una pizza, piatto che avevo imparato ad apprezzare lavorando con il contingente italiano, in una delle tante missioni di pace in giro per il mondo, ed un paio di birre di troppo. Passeggiavo sul lungomare quando mi accorsi che due persone mi seguivano. Ci sono persone nate per fare un determinato mestiere, io sono nato per fare il soldato. Il sesto senso del cacciatore ce lo hai o non ce lo hai ed è quello che mi avvertì che qualcosa non andava. Di colpo ritornai sobrio con tutti i sensi vigili al massimo, ma non smisi di avere una andatura un po’ traballante anzi la accentuai. Mi diressi lontano dalla folla, nella città vecchia, un dedalo di viuzze che la gente cosiddetta perbene evita soprattutto la sera. Mi appoggiai al muro con il braccio sinistro, nella tipica postura degli ubriachi, e con la destra impugnai il mio coltello, un serramanico con la lama tagliente come un rasoio e perfettamente bilanciato, feci scattare la lama mentre simulavo un conato di vomito ed aspettai. Non sapevo chi potessero essere e decisi di lasciare a loro la prima mossa. Non parlavano francese, erano albanesi, delinquenti di mezza tacca ed ero quasi deciso a risparmiarli, a fargli solo un po’ di paura, quando riconobbi le parole “… assassino dei propri compagni… ” e le cose allora cambiarono. Il primo che mi attaccò non fece neppure in tempo a pregare il suo Dio, scansai con il braccio sinistro il suo braccio armato di coltello e lo colpii appena sotto lo sterno, e la lama di quindici centimetri gli spaccò il cuore all’istante. Erano convinti di essere di fronte ad un ubriaco, quando saltai addosso al secondo questo non aveva tirato fuori neppure le mani dalle tasche, lo colpii con un pugno alla bocca dello stomaco e gli abbassai il giubbotto a metà schiena, e lo sbattei nel muro. Cominciò a lamentarsi flebilmente in albanese quando gli sussurrai nelle orecchie ” Ascolta bastardo, lo so che parli la mia lingua, chi è che mi vuole morto? ” Al suo silenzio premetti la lama del coltello sulla sua gola, seppi così che il fratello di uno dei due soldati che avevo ucciso in Bosnia, mi voleva morto. A lui non importava che quel bastardo fosse stato un sadico macellaio, voleva vendetta. Mi aveva seguito fino a casa ed aveva organizzato l’agguato con due delinquenti locali. Se tutto fosse riuscito dovevano fare uno squillo ad un numero di cellulare e dopo una ora li avrebbe raggiunti al vecchio cimitero, e li avrebbe pagati. Gli tagliai la gola, e lo lasciai affogare nel suo sangue, povero illusi se speravano di riscuotere per la mia morte, li avrebbero ammazzati comunque. Adesso caro Maurice, visto che eri tanto attaccato a tuo fratello vediamo se ce la faccio amandarti in sua compagnia.

Era buio pesto quando arrivai al vecchio cimitero, mi guardi intorno ma non vidi nessuno, studia il terreno e decisi di nascondermi dietro un muro sbrecciato. Dal mio nascondiglio potevo vedere praticamente tutta la strada e, cosa importante, un eventuale macchina doveva per forza parcheggiare li vicino, più avanti c’erano vecchie macerie. Fù solo allora che, con il cellulare che avevo trovato nelle tasche del secondo balordo che mi aveva attaccato, feci lo squillo concordato. mi distesi ed aspettai. Un solo lampione illuminava la scena ed i miei occhi si stavano abituando alla penombra, quando vidi arrivare una macchina. Un uomo scese, si appoggiò alla macchina, accese una sigaretta e si mise ad aspettare. Studiai il terreno, presi due pietre e le lanciai vicino al muro, davanti ai fari della macchina alla mia destra. Si mosse verso il rumore ed io gli scivolai dietro, fra lui ed i fari della macchina. “Maurice ! ” lui si girò, portando la mano destra sotto la giacca, lanciai il coltello che lo prese in pieno petto. Non è vero che si muore all’istante con un colpo simile, non date retta ai telefilm, l’energia nervosa può tenere in vita un uomo gli istanti che bastano per farvi del male, meglio saltargli addosso e finirlo. Non ebbi bisogno di fare grandi cose: il coltello gli aveva spaccato il cuore. Ed anche qui mi ricordai gli insegnamenti del mio sergente istruttore, un lancio di coltello è sempre una incognita, deve farsi strada fra le costole ed è facile che qualcosa vada storta. Tolsi il coltello dal corpo, lo ripulii sulla sua giacca, gli svuotai il portafoglio per farla sembrare una rapina e dopo aver cancellato tutte le mie impronte mi avviai verso casa. Dopo una buona oretta ero disteso sul letto e gli effetti dell’adrenalina stavano cominciando a lasciare il campo alla spossatezza. Non ne ero pentito, il mio addestramento e la consapevolezza del pericolo che avevo corso, mi fecero scivolare nel sonno del giusto. Mi svegliò in tarda mattinata il profumo di caffè espresso che Louise mi aveva portato a letto. Era bella, nuda ed abbronzata, tutta sorridente e servizievole

“Buon giorno tesoro” mi disse, e cominciò a raccontare di come nella notte ci fossero stati tre omicidi, che la polizia riteneva consumati nell’ambito della criminalità organizzata. Scrollai la testa bofonchiando qualcosa su come ormai ci fossero più criminali che persone oneste e scivolai sotto la doccia. Apprezzai il fatto che entrasse con me e mi aiutasse a lavarmi, ci asciugammo e ritornammo sul letto. Mi aveva portato dell’olio per massaggi, per cui mi distesi a pancia sotto e lei, a cavalcioni su di me, cominciò a spalmarmi d’olio ed a raccontare cosa aveva fatto di importante ieri.

Questa sua “amica” era una conoscente di Michael che la ricattava e la costringeva a sottomettersi alle sue voglie. Di estrazione umile aveva trovato il modo di ingraziarsi il vecchio padrone di Louise e di guadagnare prostituendola. Non la faceva andare con uomini: Louise in città aveva, al di fuori di un circolo ristretto di uomini e donne, tutto sommato una buona reputazione. Allargare il giro con altre persone rischiava di compromettere tutto, e L. doveva essere una fonte di reddito duraturo, ed anche perchè come puttana era vecchia, con tutte le ragazzine dell’est che affollavano i viali, c’ era molto di meglio. Aveva creato una scuola dove insegnare ai cani a scopare le donne, e Louise era la prima ed unica insegnante. Come al solito era vittima e complice, la cosa la umiliava ma la faceva anche godere. Oltre a ciò la sfruttava proprio come puttana per cani: le signore (ed i signori) bene della zona portavano i propri cani di tanto in tanto a sfogarsi: ” è tanto nervoso il mio Fuffi, sono convinta che deve sfogarsi, ma non con una bastardina chiunque, quella vostra cagna a due zampe sarebbe l’ideale, posso fissare un appuntamento? ” I cani si sfogavano e i padroni si divertivano a vedere una donna che veniva trattata come un animale. L. aveva l’ ordine di non parlare, solo uggiolare, e stare a quattro zampe. Ieri aveva fatto un pompino ad un Pincer, a due barboncini ed era stata inculata da un boxer. Il padrone del boxer aveva pagato il supplemento anale perchè diceva che il suo cane non godeva se la montava in figa. Troppo larga !! Lui stesso aveva puntato ed infilato il pene del cane nel culo della donna ed aveva incitato il cane a godersela non degnando L. di nessuna considerazione, se si esclude il biscottino che le aveva tirato per terra mentre si metteva d’accordo con la padrona di casa . Il boxer era bene addestrato e la limava con calma, i cani non addestrati si muovono velocemente e in maniera scomposta finendo per fare male alla donna, quì si vede la differenza fra un cane esperto ed uno no e Shiro, il boxer era uno dei suoi “allievi” più bravi, e meglio addestrati . Quando finalmente il cane sborrò dopo una decina di minuti a Louise faceva male il culo, ma ha dovuto aspettare che gli si sgonfiasse il pene, prima di toglierselo, poi il padrone dell’animale pretese che glielo ripulisse con la bocca. Fin quì niente di strano, questo signore era un cliente abituale e L. era abituata a questa prassi, come non era strana la posizione che doveva assumere con questo animale: una specie di missionaria, invece che la solita posizione carponi, distesa sulla schiena con le gambe larghe ed i ginocchi all’altezza delle spalle il cane la montava di faccia ed il padrone poteva scegliere il buco dove metterglielo. Era anche una persona che voleva il meglio per il suo cane: pretendeva di essere l’unico del giorno (o perlomeno il primo) a far montare L. , per una questione di igiene del cane (e qui L. si mise a ridere: “mica si preoccupano se io posso contrarre qualche malattia, pensano al proprio cane! ) e quando decideva che il suo cane la avrebbe inculata voleva che le fosse praticato un clistere per pulizia. Ieri comunque passò il segno: volle che Marzia, così si chiamava la Maitresse di quello strano bordello, le facesse un piccolo clistere con una peretta per lavande vaginali (la stessa che usava per pulirle la figa quando la faceva montare dal davanti) dopo che il cane aveva finito, per recuperare la sborra, raccogliesse il liquido e che L. lo bevesse davanti ai suoi occhi. Tutto questo senza toccarla con un dito, l’unica cosa che voleva è che Marzia l’accompagnasse con L. al guinzaglio alla porta come fosse davvero una cagna. Altri uomini si facevano fare un pompino mentre il loro cane la montava, mentre le donne a voler rimarcare la differenza di status (lei una puttana per animali, loro le clienti) la insultavano, la accusavano di non darsi abbastanza da fare con i loro piccoli, pretendevano che fosse punita se credevano che l’animale non si fosse divertito abbastanza. Per aggiungere umiliazione ad umiliazione Marzia si faceva pagare davanti a lei, commentandone la prestazione. Per le malattie L. non doveva preoccuparsi, Marzia la portava regolarmente da un veterinario che la visitava in ambulatorio e che non voleva essere pagato, ma si accontentava di incularla, col preservativo, anche lui previo clistere. I clisteri del veterinario mettevano i brividi a L. acqua calda e sapone (tre litri) per ripulirla e subito dopo un litro di acqua fredda da tenere dentro almeno cinque minuti, cosi gli diceva “… il tuo buco sfondato un po’ si contrae ed io sento qualcosa brutta cagna! ” La inculava poi legata di schiena al lettino di acciaio dell’ambulatorio, mentre Marzia le torturava le tette e le faceva ringraziare il dottore per il piacere che le aveva fatto visitandola. Nel frattempo mi era venuto duro, mi girai a pancia in sù e ne approfittai per scoparmela. Era fradicia, il veterinario aveva ragione, è troppo larga, ma ero eccitato e venni quasi subito, strizzandole i capezzoli, forte.

Rimasi un po’ di tempo a guardarla, mentre si rannicchiava fra le mie braccia, e le domandai se non si era stufata di questa vita. Dopo qualche secondo mi rispose che non poteva fare a meno di tutto questo, la sua vita è consacrata alla sottomissione: obbedire, farsi umiliare, provare dolore, annullarsi davanti ad un padrone, non sapeva più fare altro, e soprattutto non lo voleva. E quando loro non ti vorranno più le chiesi? Michael ha detto che un modo lo troverà per aiutarmi mi rispose. La guardai in silenzio e le dissi che sarei rientrato al corpo domani mattina presto, le dissi di stare attenta e di lasciarmi solo. La vita di un membro dei corpi speciali dell’esercito è imprevedibile: le missioni duravano dei mesi e se la pericolosità non era eccessiva, almeno in quelle ufficiali, eri comunque sbattuto in tutti i focolai di guerra del mondo. Almeno la posta arrivava regolarmente. L. si era lasciata con Giacomo ed era tornata da Michael, continuava a insegnare nella scuola di Marzia ma le cose non andavano bene. Il suo fisico cominciava a dare segni di cedimento e le sue performance non erano più una novità. Lei senza un lavoro doveva piegarsi alle cose più allucinanti. Nessuno la scopava più, solo gli animali (il cavallo di Michael, i suoi cani e quelli dei suoi amici, gli allievi della sua “scuola”) le regalavano qualche orgasmo.

Nella villa di M. le sue mansioni erano quelle di sguattera, solo qualche nuovo ospite la degnava di qualche attenzione: dalla sperimentazione di nuove miscele per clisteri, a divertirsi ad infilare oggetti sempre più grossi nei due buchi, ad adoperarla come cesso ambulante. Per dimostrare la propria sottomissione L. aveva chiesto di essere marchiata a fuoco sopra la natica destra, una M come appartenenza ad una mandria. Mi raccontava degli effetti della glicerina calda come clistere, del fatto che ormai gli infilassero nel culo bottiglie da un litro e mezzo di acqua, di giornate il cui unico cibo fossero gli escrementi del suo padrone. Fu organizzata per lei una versione un po’ particolare della caccia alla volpe, “la caccia alla troia”. questo prima della marchiatura. Nuda e solo con le scarpe da ginnastica fu lasciata nel bosco alla mattina, al pomeriggio, a cavallo i cacciatori preceduti dai cani (furono invitati personalità a livello regionale) si lanciarono alla sua cattura, il cavaliere che la catturò la ebbe per una settimana. Furono giorni d’inferno, frustata tutti i giorni tornò da M. in condizioni pietose, tanto che per tre giorni rimase a letto. Fu così che decisero di marchiarla, a ribadire la proprietà. Le fù trovato occupazione come cavalla, legata ad un calesse portava a passeggio la moglie di M. , la sera veniva legata perche non potesse darsi piacere e se ne voleva dovesse supplicarlo. Malgrado ciò era soddisfatta, il suo masochismo estremo, la spinse ad accettare la proposta più oscena che M. le avesse fatto: in cambio di un vitalizio decente e della possibilità di restare alla villa (cosa che premeva di più a mia madre) doveva partorire, fino alla età fertile, bambine che un giorno avrebbero preso il suo posto. Embrioni femminili venivano selezionati ed inpiantati nell’utero della donna in modo da creare nel tempo una serie di troie d’allevamento. Lei ed altre vacche, venivano chiamate così, lavoravano a ciclo continuo, appena possibili venivano rimesse in condizioni di partorire. I padroni poi si divertivano a mungerle ed a bere il loro latte, fu così che dopo quattro anni, dopo un silenzio di qualche mese M. mi comunicò che in seguito a complicazioni, L. era morta. Mi accreditò i suoi averi e si scusò. Solo allora mi resi conto quanto mi mancava e decisi di fargliela pagare. Avevo diviso tutto con il mio plotone, ci eravamo masturbati tutti con le lettere che mi spediva L. e di ritorno dall’Indocina facemmo visita ad M.. Torturammo ed uccidemmo tutti nella fattoria, io stesso mi presi cura di M. e di sua moglie: li impalai e li guardai morire mentre il palo su cui li avevo infilzati si faceva strada dentro il loro corpo. Disegnammo simboli satanici un po’ dovunque per sviare le indagini della polizia, che appena si rese conto di cosa succedeva nella villa e dei nomi implicati fù ben lieta di poter incolpare fanatici satanisti dell’omicidio di persone così in vista e così perbene, e ritornammo alla caserma ognuno per conto nostro, ognuno per la sua strada. Se ti arriveranno queste pagine significa che io sono morto da qualche parte del mondo, leggile ma non ti commuovere per, noi abbiamo fatto la nostra vita, discutibile che sia, ma di una cosa devi essere certa e felice, ti abbiamo sempre voluto bene, e ti abbiamo protetto da tutto ciò che ci era possibile. Era giusto che tu sapessi tutto, adesso puoi trarre le tue decisioni……… FINE

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