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Verso la totale sottomissione

Incredibile. Se qualcuno mi avesse predetto come mi avrebbe ridotto una donna, l’avrei preso per pazzo. Mi sarei fatto una grande risata. Chiunque mi conosca lo avrebbe fatto. Io, abituato nella vita pubblica, come in quella privata ad impormi, a prendere le decisioni anche per gli altri. Io che sono una persona conosciuta in città, con un ruolo nella vita pubblica, noto per l’intransigenza delle mie posizioni, con un considerevole seguito tra la cittadinanza. Io che anche nelle relazioni sentimentali ho sempre avuto un ruolo dominante, che a letto ho sempre lentamente introdotto con le ragazze sfumature di sadomaso soft, di dominazione cerebrale. Io sono stato completamente assoggettato da una donna, sono lentamente, ma inesorabilmente scivolato in uno stato di vera e propria schiavitù. Intendiamoci, niente a che vedere con improbabili tutine in pelle e frustini da sex shop, niente a che vedere con “sedute di trattamento ginnico-sadomaso”. Parlo di un rapporto contemporaneamente più sottile ma più totalizzante: sono diventato molto semplicemente una sua “cosa”, un passatempo per i suoi capricci, per le sue “lune” storte. Lei ha i suoi amanti, i suoi ragazzi, più o meno ufficiali, con loro esce la sera, si mostra in pubblico: io invece sono qualcosa di molto di più, e di molto meno. Sono il suo divertimento, la sua valvola di sfogo, il suo schiavo. Scricchiolii Tutto è cominciato con quel modo che sembra casualità, ma é sempre, invece, realizzazione di inconfessati desideri. Inconfessati anche a sé stessi. Anche con Lei infatti avevo un rapporto di sottile dominazione, cui sembrava essersi completamente adattata. A letto le ordinavo quello che volevo, fuori dal letto eravamo una normalissima coppia. Niente di eccessivo: la facevo vestire in modo provocante, spesso senza mutandine, la costringevo a ripulirmi devotamente con la lingua dopo ogni scopata, la facevo stare per ore in ginocchio per lunghissimi pompini, la fotografavo in pose oscene, qualche volta la legavo al letto. Cose insomma piuttosto blande, ma che mi davano una notevole soddisfazione. Mi permettevano di progettare di giorno grandi notti di sesso, nelle quali sapevo di poter fare assolutamente quello che volevo, sicuro che Lei, sorridendo eccitata e con lo sguardo umilmente basso, mi avrebbe volentieri accontentato. Il tempo passava e questo tipo di relazione rimaneva sospesa in un limbo tra l’impossibilità di osare di più e l’incapacità di tornare ad un ménage normale. Il rapporto, come spesso accade in questi casi, andò logorandosi in una routine senza senso dopo pochi mesi. Con la passione sessuale se ne andò anche l’affiatamento di coppia e, non senza rimpianti, ci lasciammo. Ognuno trovò nuovi amori e nuove passioni, più o meno duraturi e soddisfacenti. Ma ci tenemmo in contatto. Una sera in cui ci rivedemmo, complice il buon vino delle nostre terre, ritrovammo istintivamente le antiche passioni e cominciammo a vederci, clandestini, per fugaci amplessi “automobilistici”. I nostri rispettivi partners erano all’oscuro di tutto ed a noi ciò procurava una ritrovata intesa fatta di sotterfugi e piccole bugie senza l’obbligo di vincoli sentimentali. Anche il rapporto di dominazione su di Lei, liberato dai precedenti vincoli sentimentali, si caricò di nuova energia. Iniziai a pretendere di più, a sperimentare nuove prove cui sottoporLa. Le inserivo un tubo, delle dimensioni di un porta-rullino fotografico nell’ano, fissato con una cordicella alla cintura dei pantaloni e la costringevo ad uscire con questo scomodo ed imbarazzante ospite. Il linguaggio ed i gesti divenivano più secchi, netti. Spogliati dell’obbligo di una relazione sentimentale che non c’era più potevamo osare. Fu allora che, non ricordo in che modo, mi venne l’idea di proporLe l’inversione dei ruoli. è questo il fatto veramente sorprendente: dopo quasi due anni di convinta, e convincente, sottomissione, Lei si rivelò completamente a suo agio nel nuovo ruolo di dominante. Era come se non avesse mai fatto altro. Era come se fosse stata una padrona per tutta la vita, come se fosse consapevole di essere di una razza superiore. E forse lo è. Inizialmente si trattò di piccole sfumature, di mezze frasi e gesti che mi eccitavano in maniera incredibile. E Lei appariva instancabile ed insuperabile nel suo nuovo ruolo. I nostri fugaci incontri notturni iniziavano ad essere dedicati esclusivamente al sesso perché Lei voleva così. Andavamo con la mia macchina lungo stradine di campagna ed iniziavamo maratone sessuali che finivano quasi all’alba. Lei mi dava ordini secchi, decideva cosa dovevo farLe, come dovevo prenderLa:
“Leccami le tette” Mi diceva.
“Mettimelo dentro” Mi ordinava, con tono secco. Mi bloccava le mani sopra la testa e mi saliva sopra. Da quando comandava Lei la posizione era sempre la stessa: Lei sopra ed io sotto. Questo nuovo rapporto era per me qualcosa di sensazionale, di vitale. Inevitabilmente cominciai a trascurare la mia, ufficiale, vita sentimentale ed a dipendere in maniera profonda da Lei. Ma contemporaneamente maturavo al precisa sensazione che per Lei non fosse lo stesso. Il mio rapporto con altre donne e con la fidanzata andò concludendosi e mi ritrovai a tuffarmi anima e corpo nel lavoro in attesa di una Sua chiamata. Lei invece continuava la Sua relazione di sempre, mi parlava del suo ragazzo e degli altri suoi amici ed amanti con fredda naturalezza. Ma era nel linguaggio che usava con me e nei suoi comportamenti che iniziava una profonda trasformazione del nostro rapporto che, non lo sapevo allora, mi avrebbe portato all’attuale stato di schiavitù. Iniziò, cosa che nemmeno io avevo fatto con Lei quando ero in posizione dominante, ad usare parole crude, ed umilianti, iniziò ad offendermi, a trattarmi con fredda irritazione. ma continuava a cercarmi a fissarmi appuntamenti. Ed io rimanevo trepidante in attesa, coinvolto sempre più in questo rapporto ed eccitato al solo sentire la sua voce.
“Sbrigati, cretino, calati i pantaloni” Mi diceva con aria spazientita, poi senza togliersi la gonna si sfilava le mutandine e, dopo avermi fatto annusare la parte di stoffa a diretto contatto con il Suo sesso
“Annusa, ti piace? Hai il cazzo abbastanza duro per i miei gusti, stronzo? ” Mi ficcava in bocca le mutandine e mi saliva sopra infilandosi dentro il cazzo con le sue mani.
“Così starai zitto, e vedi di farmi divertire! ” Mi telefonava per darmi appuntamenti anche solo con pochi minuti di preavviso, ed io trovavo sempre qualche scusa per riandare i miei impegni e correre da Lei. A volte dovevo limitarmi ad usare a lungo la mia lingua o le mie dita, a volte avevo la fortuna di capitare in giornate in cui aveva particolarmente voglia e scopavamo anche tre volte consecutivamente. Non sarebbe corretto dire “scopavamo” perché senza ombra di dubbio, come lei non rinunciava mai a ricordarmi era Lei a scoparmi. Ad usarmi.
“Se ti azzardi a “venire” prima di me finisci male. ” Mi faceva rimanere in ginocchio a leccarla in mezzo alle gambe mentre Lei seguiva svogliatamente qualche programma televisivo, o mentre telefonava ai Suoi amici per fissare appuntamenti per la serata. Poi, come una sfera in un piano inclinato, cominciammo a prendere velocità. Il rapporto di dominazione divenne sempre più totalizzante, la mia sottomissione sempre più incondizionata. Le sue pretese sempre maggiori ed il mio “addestramento” veniva messo alla prova costantemente. Le piaceva raccontarmi le Sue avventure e le scopate, si dilungava nei particolari mentre io devotamente la stavo leccando tra le gambe:
“l’altra sera ho conosciuto un ragazzo eccezionale, ci sono finita a letto dopo due ore. ” Non si risparmiava paragoni e giudizi umilianti.
“Aveva un cazzo fenomenale gli ho fatto un pompino da urlo, ti piacerebbe un pompino? fammi vedere, hai il cazzo duro? beh te lo puoi scordare, pensa a leccare! ” E con piccolo nervoso calcio mi colpiva i testicoli. Non nascondo che io dal nostro rapporto avrei ovviamente voluto di più, avrei voluto essere sì il suo schiavo, ma possibilmente anche l’unico per Lei. Non sapevo in realtà cosa mi aspettava. Un sera dopo l’ennesima travolgente scopata, a casa sua, cercai di parlarLe del mio desiderio di accompagnare la nostra particolarissima intesa sessuale con anche un rapporto più stretto fra noi. Mi ricordo come fosse ora lo sguardo gelido ed ironico al tempo stesso, che mi rivolse.
“allora non hai capito nulla, tu per me sei solo un passatempo, con te ci sono già stata insieme, e non ho nessuna intenzione di tornare indietro. Ho le mie storie ed i miei progetti e tu non ne fai parte. Se non come mio divertimento segreto, mi dispiace ma così stanno le cose; è meglio tu lo sappia. E ti adegua. ” Forse fu il tono beffardo, forse fu il fatto che appena avendo appena scopato quelle parole non provocarono in me la solita violenta eccitazione. Provai un senso di disgusto e smarrimento e decisi di andarmene senza una parola. Lei mi fermò sulla porta sorridendo dolce, mi diede un bacio sfiorandomi le labbra.
“Non odiarmi ti ho detto la verità, non è meglio così? ” La baciai a mia volta e me andai. Seguirono giorni di tormento, non riuscivo nemmeno per un attimo a non pensare a Lei e, devo ammetterlo, ogni volta mi eccitavo. La mia vita nelle due settimane successive divenne un inferno, ogni cosa mi sembrava inutile e stupida. Provai anche ad uscire con qualche vecchia amica, ma fu tutto inutile. Una sera, era l’inizio della scorsa estate, per caso mentre aspettavo alcuni amici in un bar del centro, seduto nei tavolini esterni, arrivò Lei con un uomo molto più vecchio, Lei allora non aveva ancora compiuto 26 anni. Era splendida in minigonna ed una camicia generosamente aperta sul suo seno. I capelli biondi, leggermente ricci, sciolti lungo le spalle, la pelle dorata dal sole. fece finta di non vedermi. Parlava fitto con quello che poteva essere suo padre carezzandogli le mani ed i capelli, ridendo e baciandolo ripetutamente. Per me quello fu veramente troppo. Scappai in un altro bar dove, come da copione, mi ubriacai stressando il barista e metà degli avventori con un misto di pessimismo cosmico leopardiano ed il peggio dei luoghi comuni misogini tipici dei maschi sconfitti. Inevitabilmente la mattina dopo, smaltita la sbornia, non potei fare a meno di telefonarLe chiedendo di vederLa.
“Sì ti avevo visto ieri sera ma ero in compagnia. ” Allora balbettai uno sfiduciato:
“Possiamo vederci? ”
“Sì” Mi rispose. “domani sera alla nove da me, ma conosci le condizioni” E riattaccò. Rotolii Arrivai puntuale la sera dopo, mi aspettava guardando la televisione. Fu cordiale gentile, mi offrì da bere. Ruppi io l’imbarazzo chiedendoLe cosa intendesse precisamente per “condizioni”. Lei ridivenne fredda e beffarda e togliendomi il bicchiere dalla mano mi disse:
“intanto mettiti in ginocchio ed abbassa la testa, che mettiamo le cose in chiaro”. Obbedii prontamente, come del resto ero abituato ormai a fare con una certa frequenza, e tra eccitazione e preoccupazione mi disposi in ginocchio. Quello che mi disse fugò ogni possibile dubbio.
“Se sei tornato qui è perché evidentemente non puoi fare a meno di me. Io invece si. Ed è questo il tuo problema, ma c’è una cosa che forse può aiutarti: ci ho preso gusto in questo ruolo e sono intenzionata a continuare a divertirmi. Le mie condizioni sono quindi fin troppo chiare: sarai a mia completa disposizione, io deciderò ogni singola cosa della tua vita che mi andrà di controllare. Tu invece a me non potrai chiedere nulla, se non supplicarmi di degnarti della mia attenzione. Sarai punito ad ogni minima infrazione, ma soprattutto sia io che te sappiamo che la punizione più grande sarebbe quella di non volerti più come schiavo. Quindi non sarò costretta a ridicole e stancanti punizioni corporali. Semplicemente voglio che tu sia a mia completa disposizione. Sempre. Non potrai avere relazioni di alcun tipo. Dovrai solo lavorare e per il resto attendere pazientemente chiuso in casa le mie chiamate. Questo è tutto, non hai diritto di sapere di più, puoi accettare o meno, ma fallo subito”. Inutile dire che accettai immediatamente. Lei mi tastò per verificare la mia erezione.
“Vedo che sei entusiasta – disse ridendo – ora però ho degli impegni, non ho tempo da perdere con te, ma ti concedo di leccami con devozione le scarpe poi vattene a casa ad aspettare quando avrò voglia di chiamarti. ” Obbedii leccando, cosa che non avevo mai fatto, accuratamente le sue scarpe salutai ed uscii. Nella testa avevo una grande confusione, ma l’erezione durò fino a casa dove mi masturbai pensando alle Sue parole ed al Suo sguardo. Mi ritrovai effettivamente ad attendere le Sue telefonate, la sua attenzione, le umiliazioni che architettava per me. Mi ritrovai ad osservare me stesso mentre sprofondavo nella più completa soggezione, una soggezione che aveva iscritta nel suo Dna una evidente e profonda disparità. Non perdeva occasione per umiliarmi con la sua indifferenza. Mi chiamava per passare una notte con Lei salvo poi cambiare improvvisamente idea. Come ad esempio quella sera in cui proprio nel bel mezzo di una scopata interruppe tutto per una telefonata. Eravamo nel Suo letto, come sempre io ero sotto. Mi aveva fatto spogliare e distendere. Solitamente io, secondo le Sue disposizioni, dovevo essere già in erezione con il preservativo infilato. Il preservativo dovevo metterlo anche se i realtà Lei prendeva regolarmente la pillola, ma da quando mi aveva sottomesso lo pretendeva lo stesso. Così diceva: -non mi insozzi con il tuo sperma. – Si era tolta le mutandine e me le aveva messe sulla faccia ed era salita sopra di me: -Vedi di farmi divertire, cretino. – Io rimanevo immobile nella mia posizione mentre Lei si godeva il mio cazzo muovendosi lentamente. Non mi era permesso parlare nè muovermi se non su Suo ordine. La osservavo attraverso uno spiraglio tra le sue mutandine, gli occhi chiusi e la bocca aperta. io per Lei ero solo un cazzo da usare. Possibilmente senza guardarmi in faccia. Ad un certo punto squillò il telefono e Lei senza fermarsi si allungò verso il comodino per rispondere.
“Ciao tesoro, come stai…. ” Era un qualche suo amico. Si fermò e scese da sopra di me. Io rimanevo immobile aspettando che finisse la telefonata, con il cazzo durissimo. Lei mi tolse le mutandine che mi coprivano la faccia e con uno schiocco di dita mi indicò che dovevo scendere dal letto e mettermi per terra. Mi inginocchiai ai piedi del letto con ancora il preservativo infilato. La telefonata iniziava a divenire languida e confidenziale:
“Ma certo che ho voglia di vederti. Ho sempre voglia di vedere te…… va bene vengo tra un ora… a casa tua… va bene. Mi vestirò come piace a te. ” Tappò con una mano il ricevitore e rivolta a me disse:
“che cazzo fai ancora lì, non mi servi più. Vestiti e vai fuori dalla camera, devo prepararmi per uscire. ” E poi guardando il mio cazzo inguainato ancora nel preservativo mi sorrise con scherno:
“è quel mio amico con cui mi hai vista quella sera al bar. Sua moglie è via in vacanza e lui vuole che vada a casa sua. Togliti quel preservativo, che sei ridicolo. E inutile. ” Tornò alla sua conversazione mentre io deluso ma eccitatissimo mi rivestivo. Poi riattaccò, stavo per andarmene quando Lei mi richiamò.
“Sperò per te che tu non abbia impegni. Non ho nessuna voglia di guidare: dovrai farmi da autista. Ora mi vesto. ” Uscì dalla camera indossava un vestitino, poco più di una sottoveste, che non lasciava nulla all’immaginazione. Era senza reggiseno, i capezzoli si intuivano alla perfezione, la gonna arrivava appena sopra il Suo splendido culo. Partimmo verso casa del suo amico. Io ero combattuto tra la frustrazione di una scopata bruscamente interrotta e l’eccitazione per le Sue sempre nuove sorprese. Lei mi carezzava le gambe parlandomi con naturalezza del Suo amico mentre io, diligentemente svolgevo il mio compito di autista.
“è proprio un vecchio porco. Era il mio professore al Liceo. Allora eravamo un po’ tutte innamorate di lui. Un giorno tanti anni fa, in quinta, durante una gita scolastica si fece una mia amica. Da allora ho cominciato a vederlo in modo diverso. Dopo la maturità l’ho incontrato per caso. Mi ha subito portato in un albergo. Da allora ogni tanto quando sua moglie è via mi chiama. Ed io, non so perché corro subito da lui. Ormai ha quasi senssant’anni, non è più quello di un tempo come “energia”, ma riequilibra con la fantasia. E poi, andare con lui, “a chiamata”, mi fa sentire……. una vera puttana. ” Poi girandosi a guardarmi mi baciò sfiorandomi la guancia. Allungò una mano in mezzo alle mie gambe.
“Sempre duro eh, amore. Peccato per te. Se la telefonata arrivava più tardi saresti stato più fortunato. Pazienza, non è vero? ” Annuii, e non mentivo. Ero veramente comunque felice ed eccitatissimo. Anche se non sapevo per quanto ancora sarei potuto resistere in quello stato. Arrivammo a destinazione Lei scese dopo avermi baciato. Io ero pronto ad ingranare la retromarcia, quando Lei ridendo mi disse:
“cosa credevi, tu devi aspettare qui. Che io abbia finito i miei comodi. ” Si voltò, poi si fermò e tornando sui suoi passi con quel sorriso che non prometteva nulla di buono.
“Anzi dammi le chiavi e l’autoradio, ti chiudo dentro in macchina così non rischi di perderti e stai lì a riflettere sulla tua penosa situazione. ” Mi chiuse in macchina con l’allarme inserito. Erano le nove. Avevo tempo per riflettere sulla mia situazione, parcheggiato sotto la loro alcova. Anche in questo caso il mio cazzo prese il sopravvento sul mio orgoglio. Rimasi lì, buono ed eccitato ad attendere pazientemente. A mezzanotte circa, dopo oltre tre ore di umiliante paziente attesa, Lei mi appare. Scapigliata e raggiante si avvicina alla porta della mia auto, sorride allegra, forse ha bevuto. Mi manda un bacio attraverso il finestrino. Poi mi apre la portiera, ormai ero anchilosato. Con le mani appoggiate al tettuccio si sporge con il busto dentro la macchina, come una prostituta che contratta una prestazione. è sudata, con un vistoso livido alla base del collo.
“Allora, come va il mio prigioniero. Stanco? ” Rispondo che non lo sono, Lei mi bacia sulla bocca, la Sua lingua mi esplora in profondità. Sa di sesso.
“Beh, la tua attesa è finita, lui mi ha chiesto di rimanere qui a dormire. Deve avere parecchie cose ancora da farmi. ” Ride sguaiatamente, il suo sguardo tradisce l’eccitazione dovuta al sesso ed al vino. Mi bacia ancora ed una mano scivola tra le mie gambe a verificare l’immancabile, quanto inutile, erezione. Poi scostando una spallina del vestito e scoprendosi di più la scollatura mi mostra un altro livido sul seno destro:
“non è fantastico? Mi ha letteralmente massacrata, è un polipo, mi mette le mani ovunque. ” Poi riprendendo lentamente il controllo si liscia i capelli all’indietro e si rivolge a me con studiata freddezza:
“tu invece dopo tre ore di paziente attesa puoi anche andartene a casa a farti una sega pensando a me. Vienimi a prendere domattina alle 8. 30. Puntuale. ” E per sottolineare l’ordine mi assesta un piccolo nervoso schiaffo sulla bocca. E se ne va. La notte la passo insonne. Malgrado il vino che ho bevuto per dimenticare e due vigorose seghe penso solo a Lei. Alle 8. 20 sono già sotto casa del vecchio professore. Che vedo uscire infatti alle 8. 30. Non mi vede, comunque non mi riconoscerebbe, mentre io gli leggo in faccia la soddisfazione. Aspetto pazientemente. Sono ormai le 10 quando si affaccia da una finestra della villetta e mi chiama dicendomi di entrare. Lei mi aspetta sulla porta. Indossa una grande maglia maschile che gli arriva poco sotto le mutandine. Mi fa entrare, allegra. La casa è piuttosto anonima ed in disordine. Lei mi trascina sul divano e mi bacia.
“ti farò vedere qualcosa. Meriti una ricompensa per l’obbedienza e la pazienza. “. – Si alza la maglia. I seni sono segnati da piccoli lividi bluastri mi permette di baciarLe i capezzoli.
“Piano, stupido, che mi fanno ancora male. ” Poi si abbassa un po’ le mutandine: il suo culo è segnato da sottili strisce rosse.
“Mi ha frustata con la cintura. E legata al letto. Mi ha scopata tutta la notte. Davanti e dietro. è stato incredibile. Pensavo ci rimanesse. ” Mi raccontava queste cose eccitata mostrandomi il suo corpo segnato, come una bambina divertita.
“Dai non abbiamo tanto tempo. Gli ho promesso che avrei rimesso in ordine la casa. E ovviamente tu servi a questo. ” Mi portò in camera dove nel letto c’erano ancora una cintura e delle corde. Sul lenzuolo celeste notai una evidente macchia scura di sperma. Lei se ne accorse e mi ci spinse con la testa sopra.
“Lecca dai, è suo. ” Dovetti ovviamente leccare con disgusto lo sperma seccato sul lenzuolo che emanava ancora un odore intenso Lei mi teneva la testa schiacciata sul lenzuolo e rideva.
“Puliscii per bene, merda. ” Poi risistemai il letto. Lei mi aspettava sul divano. Mi fece inginocchiare davanti a Lei e mi fece abbassare i pantaloni. Estrasse il mio cazzo giocandoci un po’ distrattamente. Poi allargò le gambe. Le Sue mutandine bianche evidenziavano un alone del tutto simile a quello del lenzuolo.
“Visto che sei stato bravo, lecca anche qui. ” Iniziai a leccarla in mezzo alle gambe in quel triangolino di stoffa a contatto con il suo sesso, denso dei suoi umori e di quelli dell’uomo che aveva avuto la fortuna di averLa. Poi Lei scostò le mutandine per farmi leccare dal vivo anche la sua fica. Era ancora piena di sperma.
“Non mi sono lavata proprio per te. Lecca amore. ” Intanto il suo piede mi sfiorava l’asta indurita. Mi prese per i capelli dietro la testa e mi staccò da Lei.
“Ti piace leccarmi? Ti piace la mia fica? ” Risposi che mi piaceva moltissimo ma che mi sarebbe piaciuto moltissimo poter riprendere la scopata della sera precedente.
“Ora sono stanca. Ho scopato tutta questa notte, l’ultima l’abbiamo fatta stamattina. Sarà per un’altra volta, tu puoi aspettare. ” Mi ordinò di masturbarmi davanti a Lei. Con pochi colpi, visto lo stato di eccitazione venni davanti al suo sguardo di compassione. Mi fece pulire tutto con un fazzoletto. Si vestì e ce ne andammo. Mi ritrovavo, insomma ogni giorno di più ad accertare la mia sempre più evidente inferiorità. Lei decideva quando e se vedermi. Lei decideva se dovevo o meno uscire la sera, se dovevo o meno pensare, parlare, se fosse dipeso dalla mia volontà avrebbe persino deciso se dovevo o meno respirare. Esistere. Ma la cosa “speciale” era che la mia condizione era semplicemente un dettaglio nei Suoi pensieri, ero solo un piccolo insignificante passatempo. Ne ero consapevole e morbosamente felice. Lei mi chiamava e dovevo accorrere da Lei, abbandonando tutti i miei impegni anche solo, perché doveva darmi qualche nuova assurda disposizione. Un giorno ad esempio mi chiamò, ordinandomi di raggiungerLa a casa immediatamente. Quando arrivai mi disse:

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