La mia Padrona era stanca delle mie continue fughe. Era già accaduto troppe volte che mentre lei dormiva io ne approfittassi per sgattaiolare via. Questa volta aveva deciso di impedirmelo, ma io questo non lo sapevo ancora quando la raggiunsi.
Così dopo una serata tutto sommato tranquilla, in cui il mio unico impegno era stato quello di massaggiarle i piedi per rilassarla della giornata di lavoro, mi fece entrare nella sua camera con la borsa dei legacci.
Ero vestito con gli indumenti femminili che di solito indosso quando sono da lei: una guaina costrittiva stretta con gancetti, calze nere fini, scarpe nere di vernice con tacco a spillo di 7 cm, gonna stretch a tubo fin sopra le ginocchia, camicetta di raso.
Mi ordinò di spogliarmi, per cui mi tolsi tutto mentre lei mi esaminava dandomi giudizi sulla mia scelta degli abiti, finche rimasi completamente nudo. Mi fece alzare in piedi e stare di fronte a lei. Prese per primo un vecchio foulard, lo appallottolò ottenendone una palla di circa 6-7 cm di diametro e me lo cacciò ghignando in bocca premendo con due dita finche non scomparve dietro le labbra, che rimasero comunque semiaperte a causa della grandezza della palla.
Tra di esse fece passare una sciarpina lunga e stretta, che annodò con forza dietro la nuca forzando la palla ancora di più in fondo all bocca; non contenta vi appoggiò sopra una corta cinghia di cuoio, sagomata con rientranze all’altezza degli angoli delle labbra per inserirsi tra i denti, e ne tirò la fibbia finche non udì un mio gemito di dolore, dando però poi un ulteriore strappo per tirarla di un buco in più!
Al che il gemito divenne un ululato, mentre l’occhio mi scappava al grande specchio di fronte a me, in cui vedevo la mia faccia deformata da tutte quelle costrizioni.
“Ti piace guardarti allo specchio, eh? ”
Feci sì con la testa mentre lei prendeva una cinghia di tela grigia con una fibbia autostringente, lunga un paio di metri, che non aveva mai usato prima. Scartò le manopole senza dita, di stoffa nera, coi lacci, fatte per imprigionarvi
le mani. Ne fui felice perché da come si stavano mettendo le cose immaginavo che volesse bloccarmi la fuga con dei legacci a prova di evasione. Con quelle manopole l’uso delle dita è completamente escluso, se me le avesse messe sarei stato veramente alla sua mercé.
Il fatto che non le usasse mi fece sperare di avere qualche possibilità di fuga. Mi strinse invece la cinghia in vita e la fissò tirandola con una forza tale da farle apparire sul viso l’espressione di chi sta compiendo un grosso sforzo fisico; considerata la sua muscolatura potete quindi immaginare la tensione che stava dando alla cinghia. Me ne accorsi infatti dal senso di soffocamento dato dalla pressione, e dal solco scavato nella carne dei fianchi, cosa che potevo notare nel specchio.
L’estremità libera della cinghia, lunga quasi un metro, la portò dietro, annodandola in mezzo alla schiena con tantissimi nodi per renderne difficoltoso lo scioglimento. Prese poi un legaccio in stoffa verde, lo ripiegò in due, me ne avvolse un’estremità a cappio intorno a un polso e fece per unire anche l’altro dietro la schiena. Poi cambiò idea:
“Non mi piace” disse, incrociandomeli invece davanti.
Strano, pensai, dovrebbe sapere che così è più facile liberarsi, primo perché si può vedere come e dove sono i nodi, poi perché si possono sempre usare i denti, e infine perché risulta comunque più facile muoversi con le mani davanti che dietro. Ma avevo fatto i conti senza l’oste. Strinse i legacci in modo inaudito, provocandomi un dolore sordo già dopo pochi secondi, vedevo la stoffa penetrare per diversi millimetri nel polso, intorno al quale come si sa non vi è ciccia ma solo ossa.
Avvolse ogni polso e poi, con un metodo ormai collaudato, strinse la corda su se stessa tra un polso e l’altro, provocando così l’effetto di uno stringimento ulteriore, per quanto ormai quasi impossibile.
Guardavo la Padrona con espressione supplicante, per farle capire che non potevo reggere tale pressione per molto, avrei perso l’uso delle mani, ma dal suo sguardo beffardo di risposta capivo che non avrebbe avuto alcuna pietà.
Del resto in una lettera precedente avevo fatto l’errore di esprimere una mia opinione poco lusinghiera su di lei, e cioè che stava un po’ perdendo la sua verve di padrona, e questo l’aveva fatta terribilmente incazzare. Ecco perché di quella tensione inaudita attorno ai miei polsi, che stavano subendo la sua giusta ira.
Quando rimase poco più di un metro di corda, la fece passare attorno alla cinghia in vita, in mezzo alla pancia; non fu facile perché non vi era alcun gioco tra la cinghia e la carne ma cercai di agevolare la mia Padrona trattenendo il respiro e stringendo la pancia: riuscii solo a guadagnare un paio millimetri, tanto era tesa la mia costrizione. Fu sufficiente appena a far passare la corda che venne tesa violentemente mandando i polsi a sbattere contro il corpo e bloccando le braccia in una posizione innaturale, leggermente piegate verso l’alto, con i gomiti in fuori. Infatti la lunghezza delle braccia porterebbe normalmente i polsi ad incrociarsi all’altezza dei genitali.
Ma lei sicuramente voleva evitare che io potessi toccarmeli traendo un qualsiasi godimento dalla mia posizione. Per fortuna non pensò di legarmi i polsi ai genitali, altro modo per scoraggiare qualsiasi movimento pena l’autocastrazione. Meglio il suo sistema, pensai sollevato!!!
Anche l’estremità di quei legacci venne portata dietro alla schiena, in posizione centrale, e il motivo mi venne confermato verbalmente dalla Padrona:
“Ora voglio vedere come arrivi ai nodi! ”
I polsi mi pulsavano già e cominciavano a diventare insensibili, dopo nemmeno un minuto, come avrei fatto a reggere? Avrei comunque dovuto farlo, questo era certo. Lei mi guardava sorridendo con l’aria di chi pensa
“e ora liberati se ne sei capace!!! ”
La vidi prendere un cappuccio di stoffa nera, pesante, che avevo costruito io stesso: uno strumento di costrizione terribile da sopportare, per chi non fosse come me già super addestrato. è cucito in modo da adattarsi perfettamente al viso, con un triangolo per contenere il naso, sotto il quale stanno due buchini per la respirazione.
L’interno è foderato, di stoffa rossa, e all’altezza delle orecchie ha due rigonfiamenti pieni di ovatta per isolare anche dai rumori, rendendo ancora più impotente chi lo indossa.
La chiusura dietro la nuca ricorda un corsetto, con occhielli e lacci per stringerlo, cosa che la mia Padrona iniziò subito a fare dopo che me lo ebbe infilato. Sentii la stoffa aderire strettamente al viso, e la pressione contro la bocca già martoriata dal bavaglio lo rese ancora più insopportabile. L’aria che passava dai buchini divenne l’unica fonte di vita, poiché dalla bocca non poteva filtrarne più.
Il naso stesso, stretto anch’esso, iniziò a riempirsi di muco in una narice, riducendo ancora di più l’aria. Respiravo profondamente e velocemente, cercando di non farmi prendere dal panico, cosa terribile in quelle situazioni.
Il brutto venne poi, quando la Padrona iniziò l’attività che più predilige: frustarmi!!! Sentivo inoltre che mi diceva qualcosa, indubbiamente degli ordini, ma tutto quello che le mie orecchie udivano era il fruscio del cappuccio. E lei probabilmente si stava incazzando perché pensava che non l’ascoltassi, infatti i colpi cadevano sempre più violenti sul mio corpo, quasi a stimolarmi, e dalla voce che sentivo alzarsi di tono senza peraltro capirne le parole intuivo che mi stava chiedendo di rispondere, ma a cosa?
I colpi arrivavano dappertutto aumentando la mia difficoltà di respirazione, poiché l’agitazione per evitarli si traduceva in una affannosa ricerca d’aria. Sentii o forse intuii una domanda ironica:
“Allora, ti piace? Va tutto bene? Dimmi si o no. ”
Cercai di spiegare che stavo facendo sempre più fatica a respirare ma lei mi urlò vicino alle orecchie
“Ho chiesto di rispondere si o no!!! ” accompagnando con un ulteriore colpo di cinghia.
Piansi quasi di rabbia non potendo spiegare cosa mi stava succedendo, e iniziai a tremare quando mi sentii prendere per un braccio e spingere contro un armadio: se mi avesse chiuso lì dentro come aveva già precedentemente minacciato di fare sarei certamente morto soffocato prima di poter lanciare un qualsiasi segnale.
Ma fortunatamente la Padrona cambiò idea e mi fece fermare davanti a lei con le gambe leggermente divaricate. Sentii una pressione localizzata intorno al pene, che si trasformò presto in una sensazione tagliente e. capii che me lo stava avvolgendo con una cordina sottile, stretta attorno alla base con un cappio.
Una volta fissata venne tirata indietro passando in mezzo alle gambe: al momento il pene fece un po’ di resistenza essendo in tensione, poi la trazione della corda ebbe la meglio e sentii che si piegava indietro, non senza dolore. Lei lo tirò finche non si appoggiò praticamente ai testicoli, e lì vi rimase poichè la cordina venne fissata alla cinghia stretta in vita.
Prima di annodarla diede un’ulteriore strattone che mi strappò un mugolio prolungato. Sentii la sua mano che passava sopra il mio sesso bloccato in quella posizione e pregai che non vi indugiasse troppo; non sarebbe stato affatto piacevole infatti venire stimolato in quella situazione, poiché l’eccitazione avrebbe indurito il membro, aumentando la già latente sensazione di dolore dovuta allo strangolamento della corda.
Per fortuna non insistette con quello ma passò a un’altra tortura: iniziò a punzecchiarmi con un ago, sul sedere, sulle gambe, sul petto, sui capezzoli, salendo e scendendo con quella puntura sottile senza sosta. A un certo punto concentrò la sua attenzione sulle parti basse, passando da dietro le gambe: dovette attirarla la punta del pene che faceva capolino perché sentii una fitta proprio sulla cappella, che mi fece scattare in avanti.
Continuò per un po’ le punzecchiature poi smise, e sentii che mi passava una pezzuola sulla punta, come a pulirla, e poi la sentii sfregare il pavimento… intuii che stava pulendo qualcosa che gocciolava da me…. e capii che era il mio sangue!!! La cosa devo ammettere mi impressionò anche perché bendato com’ero non potevo vedere quanto ne perdevo, e la suggestione mi faceva sentire una sensazione strana al pene, come se sentissi il flusso… L’idea di star perdendo sangue, e per di più da lì mi fece girare la testa, mi sentii mancare come per un abbassamento di pressione, sempre per autosuggestione stavo per svenire, mi afflosciai come una pera cotta nelle sue braccia, mentre lei, ignara di quanto mi stava accadendo, mi esortava a stare su dritto.
Mi fermai solo quando fui in ginocchio, e mi calmai con dei respiri profondi, insomma… tanto quanto me lo permetteva lo stretto cappuccio. La sentii armeggiare coi lacci e la ringraziai mentalmente per la sua generosità… o almeno speravo fosse quello il motivo, e non l’intenzione di rincrudire i legamenti!!!
Appena libero presi una gran boccata d’aria, aiutandomi con la bocca per quanto impedita dalla stoffa che la riempiva, finche non mi tolse cinghia e foulard, e per ultima la palla di stoffa, strappandomela letteralmente con relativo ululato dovuto al fatto che era stata inserita a secco, senza bagnarla, e i lembi di essa si erano praticamente incollati al palato; la sensazione fu che mi strappasse la pelle dall’interno della bocca!!!
Vidi il suo sguardo beffardo e il suo sorriso di compiacimento mentre mi chiedeva
“Allora, va meglio ora? ”
Non riuscii altro che ad assentire col capo, avendo le mascelle intorpidite dallo stretto imbavagliamento, al che evidentemente soddisfatta riprese la palla di stoffa, questa volta avvolgendola a caramella nella sciarpetta che già prima mi aveva martoriato la bocca, e me la ricacciò dentro, Ancora la cinghia fece da ulteriore bloccaggio, ma almeno questa volta la palla racchiusa nella sciarpa non se ne sarebbe andata in giro ad incollarsi al palato. La guardai riconoscente, ricambiato da un sorriso che non lasciava presagire niente di buono…
Fu l’ultima cosa che vidi perché una fascia di cotone nera mi venne avvolta con più giri intorno alla testa, spremendomi le palpebre sugli occhi, annodata strettamente come sempre. Sopra venne legato un foulard piccolo, verde, lucido, molto bello da vedere come effetto.
Questa volta la spinta verso l’armadio fu decisa e accompagnata da un ordine:
“Dentro, abbassati. ”
A tentoni cercai di non sbattere la testa chinandomi, aiutato, si fa per dire, dagli strattoni che la mia impaziente padrona mi dava per farmi abbassare. Sentii il fondo dell’armadio sotto il sedere e mi ci appoggiai, non sapevo da che parte fossi girato, mi sentii prendere le gambe e spingerle all’interno, dopodiché vennero fissate con legacci alle caviglie e alle ginocchia.
Rimpiansi la precedente semilibertà, ben sapendo che con le gambe libere avrei avuto buon gioco a liberarmi, potendo aiutarmi uscendo dall’armadio e alzandomi in piedi. Ma pensavo ancora di potercela fare… finche non sentii una pressione intorno alle braccia e al busto!!! Una corda mi venne stretta all’altezza del petto, bloccandomi i gomiti contro il corpo, e rendendo impossibile muovere le braccia.
Una volta stretta ed annodata capii che per me non vi sarebbe stata alcuna speranza di liberarmi, senza la possibilità di muovere le braccia come avrei potuto allentare la morsa ferrea intorno ai polsi, che tra parentesi iniziavo a non sentire più?
“Bene, buonanotte allora” fu l’ultima cosa che sentii prima del rumore dell’armadio che veniva richiuso….
Ebbi un sobbalzo, non aveva chiuso a chiave ma in quelle condizioni come potevo aprirlo? Inoltre pensavo mi volesse chiudere dentro come forma di punizione per un po’…. ma farmici addirittura dormire!!! Poi i polsi, veramente erano stati stretti troppo, aveva proprio paura che scappassi!!!
Con quei legamenti alle braccia sarebbe bastato anche un legaccio più lento ai polsi, ma del resto la colpa era mia, io l’avevo spinta a tanta crudeltà, andandomene le altre volte… Dopo pochi minuti la sentii già russare anche attraverso l’anta dell’armadio, e mi sentii veramente abbandonato!!!
Le mani erano insensibili, non riuscivo più nemmeno a piegarle, cercai allora di tirare sui polsi, non per liberarmi certo, ma anzi per stringere i nodi in modo da allungare anche se di pochi millimetri il cappio, facendo così passare un minimo di sangue. All’inizio ogni tentativo fu inutile. riuscendo solo a procurarmi ulteriore dolore ai polsi: ero disperato, immaginavo già di non riuscire ad allentarli, e pensavo alle conseguenze sulle mie mani, mi chiesi se il rimanere per ore in quelle condizioni non avrebbe portato danni permanenti.
Davo per scontato di dovermi arrangiare da solo, visto che la padrona continuava tranquillamente a dormire, e non osavo fare rumore svegliandola per una stupida lamentela da parte di uno legato, ammesso e non concesso poi che avrebbe sentito. Ripresi ad agitarmi quel tanto permessomi dai legacci, tirando alternativamente i polsi, strattonandoli con forza incurante delle fitte che ne ricevevo in cambio. Cercavo di non allontanarli dal corpo, per non stringere ulteriormente il cappio, poiché questo era collegato alla cinghia in vita.
Feci tutto quanto era in mio potere per allentare quel supplizio, e non so dopo quanto tempo mi accorsi dal formicolio alle dita che forse ero riuscito nel mio intento, piano piano le mani stavano tornando all normalità, anche se a prezzo di lancinanti fitte come di mille aghi là dove il sangue lentamente tornava a defluire. Mi rilassai un poco, non più timoroso di perdere l’uso delle mani, ma cercai ancora una volta di raggiungere i nodi che come dissi prima erano però situati dietro la mia schiena.
Ah, avessi almeno avuto le gambe libere, avrei potuto alzarmi e forse fare scivolare via l’altro legamento introno alle braccia, anch’esso grosso ostacolo alla mia liberazione. Ero tra l’altro esausto, per le torture già inflittemi precedentemente, e per lo sforzo di allentare i legacci ai polsi, così mi appoggiai al fondo dell’armadio, rassegnandomi a dover aspettare di essere liberato. Chissà quando si sarebbe svegliata la Padrona, di solito dormiva fino a tardi…
Con questo pensiero credo che mi assopii nonostante l’assurda situazione, poiché a un certo punto mi accorsi di stare facendo dei sogni confusi, ma che coinvolgevano la mia Padrona, unico arbitro ormai del mio destino.
Sentii dei rumori nella stanza. Non sapevo quanto tempo fosse passato, il corpo era tutto un dolore, vuoi per i legacci che lo spremevano da tutte le parti da ore, vuoi per le frustate ricevute. Persino in mezzo alle gambe vi era un dolore acuto, e mi ricordai della posizione innaturale del mio membro, ancora stirato dalla cordina che lo teneva piegato in mezzo alle gambe.
Tra l’altro sentivo anche degli stimoli, niente affatto sessuali, ma altrettanto naturali di orinare, mi chiedevo cosa avrei fatto se non mi avesse liberato, l’avrei fatta lì, nell’armadio, sui suoi vestiti? Dio mio, allora sì che mi avrebbe punito torturandomi a morte!!!
Sentii l’armadio aprirsi e la sua voce chiedere
“Ah, sei ancora vivo? ”
Non capii se ne era contenta o rammaricata, feci comunque segno di sì con la testa, mugolando nel tentativo di chiedere di andare in bagno.
“Zitto, che mia figlia si è alzata per andare a scuola, non deve sapere nulla di te, ti verrò a riprendere quando sarà uscita, tra un’oretta abbondante, ciao”
E di nuovo l’armadio si richiuse, questa volta a chiave, per evitare che la figlia anche inavvertitamente potesse scoprire cosa la madre conservava nel suo armadio… Mi rimisi buono buono ad attendere, senza certo annoiarmi, avevo mille sensazioni su cui concentrarmi, mille punti del corpo che richiamavano la mia attenzione con fitte di dolore, sia per il ricordo delle frustate, sia per la pressione continua di legacci, bende o bavagli, sia per i crampi dovuti all posizione forzata da molte ore.
A questo si aggiungeva il dolore sordo dovuto al bisogno corporale insoddisfatto… Fu più lunga da passare quell’ora di tutta la notte, finche finalmente sentii riaprirsi l’armadio e la sua voce ordinarmi di uscire!! Una parola!!! Forse nemmeno libero sarei riuscito ad alzarmi, figuriamoci così!
Dovette intuire qualcosa perché mi prese per le caviglie, facendomi ruotare sul sedere fino ad avere le gambe di fuori. Nel fare questo mi sbatté la testa sul fondo dell’armadio, ma non avevo più nemmeno la forza di mugolare, per cui forse nemmeno se ne accorse. In pochi secondi ebbi caviglie e ginocchia libere, e mi sentii tirare con forza usando la corda intorno al busto come appiglio.
Temetti di sbattere la testa ma la Padrona riuscì ad estrarmi dall’armadio con una abilità sorprendente, liberandomi infine il povero membro anch’esso pesto e dolorante. La cordina venne staccata in vita e sentii cessare la trazione sul pene, che però rimase innaturalmente piegato all’indietro a causa del lungo tempo trascorso in quella posizione, poi piano piano iniziò a scendere in posizione verticale.
“Vai in bagno” – fu l’ordine – penso tu ne abbia bisogno.
“Mmmphh? ” fu la mia domanda mentre agitavo i polsi come a dire
“Beh, e ci vado così? ”
Lei capì perfettamente perché rise e disse
“Certo, così ci vai; perché, per sederti sul water hai bisogno delle mani? Non avevi detto che non sarei stata capace di tenerti legato giorno e notte? Mi hai provocato? Ora paga le conseguenze, volevi vedere se ne ero capace? Ora lo vedrai, la notte l’hai già fatta, ora viene il giorno… il giorno più lungo per te mio caro, e poi non è detto che la prossima notte la passi libero, ah ah ah, vai vai adesso. ”
Tremai sentendo quelle parole, l’avevo provocata, è vero, ma in cuor mio credevo si sarebbe fatta impietosire e mi avrebbe liberato dopo poco, come aveva sempre fatto fino ad allora. Ma stavolta avevo veramente esagerato, le avevo persino chiesto (pensate un po’? ) se non si stava rammollendo!!!
Mi recai in bagno a tentoni, non potendo nemmeno allungare le mani per non sbattere, ma senza grossi danni raggiunsi la tazza che per fortuna era aperta e mi ci sedetti sopra. L’operazione non fu facile per la posizione ancora leggermente all’indietro del pene, ma alla fine riuscii nel mio intento senza sporcare.
Indugiai un attimo ad uscire, cercando di riposarmi, e pensavo a cosa poteva aspettarmi là fuori per il resto della giornata. Di nuovo frustate o un rincrudimento dei legamenti? è vero che di solito ho sempre preferito mille legature a una frustata, ma la notte passata e la prospettiva di vivere ancora chissà quanto tempo costretto in quel modo mi faceva quasi quasi preferire dei pur dolorosi ma brevi colpi di frusta.
Mentre facevo queste assurde meditazioni la voce della Padrona mi richiamò alla realtà:
“Allora, sei caduto dentro? Ti sbrighi a uscire o devo venire a prenderti io? Se ci stai così bene lì dentro ti ci lego addirittura se vuoi… ah ah ah”
Per niente allettato dalla prospettiva di trascorrere la giornata legato in bagno (ma avevo poi in fondo prospettive migliori? ) mi alzai e dopo essere riuscito con un sforzo sovrumano a chinarmi in avanti e schiacciare il rubinetto dello scarico senza perdere l’equilibrio e cadere con la faccia contro il muro mi diressi verso la porta, pronto ad affrontare con coraggio le torture che la mente fervida della mia padrona aveva senz’altro preparato per me.
Iniziava così, dopo la prima notte, il mio primo giorno da sequestrato!!! FINE