Ed era la testa, infatti, ad essere la più oppressa. Questa pressione me la sento su ogni centimetro del viso… intorno alle tempie poi è come se mi avessero calzato un cerchio di ferro come quelli con cui si torturava nel medioevo! Si trattava logicamente del cuoio di una di quelle infernali cinghiette… ma avevo potuto efficacemente constatare che nelle mani di Gatta qualsiasi cosa, anche la cosa più dolce e morbida, poteva diventare strumento di crudeltà! Ad esempio il foulard che mi bendava comprimendomi gli occhi: percepivo pulsazioni nelle orbite e “vedevo” strani lampi di luce inframmezzati da mari di stelline puntiformi.
Anche il naso aveva iniziato a darmi problemi: il cappuccio in lycra è carino, morbido e sensuale se portato per poco tempo, ma a un certo punto diviene insopportabile con la sua costante, implacabile pressione; la punta del mio naso per l’appunto risultava deformata dal cappuccio, ripiegata di lato: ciò ostacolava, se pure in parte, la regolare respirazione. La bocca poi era ormai insensibile anch’essa, intrappolata da gomma, stoffa e cuoio. Tutto il viso, in definitiva, così avvolto e costretto nelle cinghie della museruola, era espressione della decisione di Gatta quando si trattava di stringere un legaccio.
Il mio corpo. Un ammasso di carne martoriata. Una mente inebetita da dolori e torture. E se per disgrazia questo fosse solo l’inizio? La mia unica possibilità di sopportare il tutto è stare del tutto immobile… scelta obbligata, sì, ma qui devo riuscire a non muovere proprio neppure un muscolo. Altrimenti qui finisce che faccio il gioco dei legacci che replicano ad ogni mio movimento con la loro immancabile reazione stritolante!
Mi imposi dunque la totale immobilità, calando in una specie di dormiveglia, di limbo sensoriale nel quale la mia situazione diventava persino tollerabile. Il tempo passava. Le mie rapitrici non tornavano. Nei momenti di maggiore coscienza mi ponevo nuovamente le tre domande che, per il momento, sarebbero restate prive di risposta:
Dove mi trovo?
Dove mi stanno portando?
Non mi sarò per caso cacciato in una situazione di cui mi dovrò pentire?
Sentii un ticchettìo sul vetro del finestrino del mio lato e rientrai nel mondo della realtà. Chi mai può essere? Loro? In un autogrill circola un sacco di gente… E se fosse qualche estraneo?
I colpi sul cristallo si ripeterono, stavolta più forti. Sentivo che qualcuno parlava ma i bavagli ed il ronzio che l’intontimento mi iniettava nelle orecchie mi impedivano di capire ciò che veniva detto e persino di rendermi conto se chi parlava era una o più persone, e se si trattava di una donna o di un uomo. Siete voi? Vi prego, fatemi capire che siete voi!
All’improvviso uno scossone fece ondeggiare l’automobile e la mia testa, collegata con le corde a sedile e maniglia di sostegno, subì un pesante strattone. Cielo, che male! Infatti la decisa trazione si trasmetteva alle cinghie che la scaricavano sotto il mento, sulla mascella e, attraverso i legami diventati quasi succedanei dei miei nervi, giù giù sino alle caviglie. Lo strattone mi costrinse a riemergere del tutto e bruscamente dal mio limbo sensoriale; sperai che si trattasse di un gesto isolato, quasi di sfogo o dispetto, invece altri scossoni vennero e la vettura iniziò addirittura a ondeggiare ritmicamente. Pensai con terrore che si poteva anche trattare di un
gruppo di giovinastri, di teppisti o di ubriachi che avevano notato la situazione e si erano messi a sospingere lateralmente l’auto facendola ondeggiare sulle sospensioni. Per fortuna non possono entrare! Ma se sono tanti potrebbero anche riuscire a rovesciare l’auto!!
Ogni ondeggiamento, per l’inerme sottoscritto, era come una sferzata: mi sentivo strattonare da ogni direzione, soprattutto la mia testa pareva lì lì per staccarsi dal collo! Ma come il Cielo volle, gli ondeggiamenti cessarono. Quasi piansi di riconoscenza. Il tempo si fermò di nuovo. Non sentii più nulla ancora per parecchio e avevo iniziato a cercar di ritrovare la precedente posizione di quasi quiete in cui i legacci mi avrebbero tirato meno.
E ci ero appena riuscito quando sentii scattare la serratura delle portiere. Le mie torturatrici erano alfine di ritorno… Solo che avevano bevuto, a quanto pare, e non caffè! Le sentivo ridere quasi sguaiatamente e parlare ad alta voce: erano veramente eccitate, ancora di più di quando erano uscite. Oh, no! E adesso chi le trattiene più?
Ma tant’era: mi conveniva prepararmi spiritualmente al proseguimento del viaggio. Quasi subito una decisa spinta laterale mi investì facendomi emettere quello che in assenza di bavagli sarebbe stato un vero ululato di dolore. Un risolino venne dalla voce di Desideria:
-Oh scusa! Poverino… L’ho praticamente spappolato, – e le risa delle altre due non mancarono di farle eco; -Non ricordavo che il nostro fagottino stava da questa parte… E ho fatto per entrare di qua. E a chi vuoi farlo credere? Dal tuo tono non mi sembri mica troppo dispiaciuta! A dire il vero non ci credo nemmeno, al fatto che ti sei sbagliata passando da questo lato… Insomma, lo sapevi bene che così appeso tra maniglia e sedile non posso certo spostarmi e farti posto!
-Certo che a tenerlo in auto ingombra un po’, eh? Che dite, se lo mettessimo nel portabagagli?
Questa non può che essere Gatta: solo a lei poteva venire un’idea simile. Intervenne Pamela:
-Ma non sarà pericoloso? Non sbatterà la testa da qualche parte?
-Ma dai, basterà che lo fissiamo per bene- la rassicurò Gatta.
-E come respirerà?
-Scosteremo un poco lo schienale del sedile posteriore, così un filo d’aria per lui passerà.
Non sapevo se auspicare o temere un cambio di posizione. Ad ogni buon conto mi venne sganciata la testa dalla maniglia ed ebbi modo finalmente di rilassarmi e sentii calare la tensione sul collo. Poi venni liberato dal tirante attaccato al sedile davanti a me. Fu il legaccio che univa collo e ginocchia l’ultimo a venire sciolto e potei allontanare e stendere, almeno in parte, le gambe e appoggiarmi allo schienale per riprendere fiato. Si allentò così anche la stretta delle corde alle ginocchia: i muscoli si rilassarono diminuendo di spessore di quel tanto che bastava.
E già solo quelle piccole libertà riconquistate mi fecero tirare un sospiro di sollievo; le mie carceriere non lo devono aver nemmeno notato, perchè tutto quello in cui si risolse il sospiro era una violenta espirazione dal naso, unica apertura da cui potesse uscire aria. Ma non ebbi molto tempo per riposare.
-Bene, e ora mettiamolo dietro, – disse Desideria. -Aiutatemi però perchè questo non collabora.
Collaborare? Ma, di grazia, come potrei? Tutti i lacci e le manette sono ancora lì dove stavano prima! Mi avete staccato dall’auto e basta! L’unica libertà che avrei ora è quella di essere spostato…
Due mani mi afferrarono le caviglie e iniziarono a sollevarmi per le gambe; io di conseguenza mi ritrovai sbilanciato e crollai steso sul sedile mentre venivo trascinato verso l’esterno. Altre due mani si aggiunsero alle prime e il “trasloco” si fece più spedito. Le mie mani però, trovandosi tra il mio corpo e il sedile, vi strisciavano contro con qualche difficoltà quando ne incontravano le profilature. Le infernali manette ad ogni breve tratto “inciampavano”, spingendo i polsi verso l’altro e tentando di frenare quell’inesorabile movimento: inesorabile a causa della determinazione dimostrata dalle ragazze.
Al momento di venir estratto dall’abitacolo, trovandomi con la sola testa poggiata sul sedile, temetti di sbattere il capo a terra e cercai di avvisare le ragazze. Inutile! La massa di gomma, stoffa e cuoio in cui mi pareva si fosse trasformata la mia testa non lasciò uscire che qualche mugolìo. Per fortuna qualcuno provvide: venni preso dai due lati per le braccia e sostenuto. Non fu comunque piacevole: così sorretto per le braccia, esse tiravano sulla corda che avevo ai gomiti dandomi la sensazione di dividerli nettamente in due. Senza contare le implacabili manette che mi bloccavano e straziavano i polsi. A giudicare dal bruciore che sento i miei poveri polsi, se ancora non sanguinano, devono essere diventati blu! Fui trasportato per quei pochi metri fino dietro all’auto. Ancora una volta non volevo convincermi che stessero facendo sul serio. E sì, è così: una cosa è essere tenuto in braccio da loro, anche se poi finiscono per toccarmi certe torture… in fondo è anche piacevole!
Ma un’altra cosa è starmene rinchiuso nel baule da solo e per chissà quanto! E per di più chissà come hanno intenzione di legarmici. Perchè sicuramente queste mi ci vogliono legare dentro! E intanto loro proseguivano come avessero avuto a che fare con un pacco qualsiasi:
-Dai, issa! Ma quanto pesa questo qui!
-Vuol dire che lo metteremo a dieta! O magari a digiuno?
-Oh voi due, aiutatemi invece di scherzare!
-Ma sì, noiosa, eccomi!
-E appoggialo con la schiena sul bordo, no? Ecco, così!
-Occhio ora che bisogna farlo scivolare dentro.
-Così?
-Sì, sì, ecco, brave.
Non poteva che essere Gatta che dirigeva le operazioni: come una brava sceneggiatrice e regista, aveva preso l’iniziativa e decideva come gestirmi. Così mi sentii mano a mano adagiare, poco per volta, nel baule dalle loro mani. Devo dire che erano addirittura gentili: mi poggiarono sul fondo della bagagliera rigirandomi alcune volte, e sostenendomi con particolare cura la testa per evitarmi di sbatterla contro le sponde. Le ringraziai mentalmente per questo loro buon cuore, e fui alfine sistemato ed in attesa delle loro decisioni sul modo migliore di assicurarmi. Decisioni che vennero ben presto.
-Io direi di incaprettarlo, – propose Pamela, -e poi fissiamo tutte le corde a questi ganci, che dite?
-Ma sì, se deve stare lì dentro bisogna che sia impacchettato in modo che non ingombri.
-Sì, – riprese Pamela, -però gli toglierei le manette, avete visto come gli hanno segnato i polsi?
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