Federico mi aveva portata con sé ad una festa universitaria organizzata da alcuni suoi compagni di medicina; avevo da poco passato i diciotto ed il liceo mi stava già stretto… poi Fede non si era ma i degnato di inserirmi nel suo ambiente, anche se, tra alti e bassi, stavamo insieme da quasi un anno.
Gli organizzatori della festa avevano preso in affitto uno stanzone al piano terra di un palazzo decisamente fuori mano, lavorandoci per arredarlo settimane prima dalla data della festa con tavoli per il rinfresco, stereo e casse, luci stroboscopiche, persino un biliardo e un rudimentale bancone da bar. L’insieme cozzava un po’, ma per una festa di universitari credo proprio che potesse andare bene.
Quando Fede mi aveva detto che ci saremmo andati insieme, mi ricordo che non stavo più nella pelle: avrei conosciuto i suoi amici, basta con la gente del liceo, avrei finalmente fatto cose interessanti, feste giuste, locali giusti, un ambiente diverso e soprattutto nuovo…
Così mi ero messa decisamente carina: un po’ per non farlo sfigurare, un po’ per il complesso della diciottenne che vuole compensare con questo il fatto che sotto sotto si sente fragile e ancora immatura. Avevo scelto di indossare una gonnellina corta (ma non troppo) a pieghe di lana rossa scozzese, chiusa sul fianco con una fibbia, un lupetto di cashmire nero castigato ma molto, molto aderente, collant semicoprenti e superopachi color carbone comprati apposta (Autumn Dream 40 della Filodoro, sono i miei preferiti), stivali scuri in daino con 9cm di tacco. Infine, un nastro di velluto nero al collo, tra il raffinato e il seducente.
A giudicare dall’espressione di Federico, dovevo dimostrare qualcosa di più dei miei timidi diciotto anni …: -)
A giudicare dall’espressione dei suoi amici al nostro ingresso alla festa, non dovevo farlo sfigurare troppo …: -))
C’era tantissima gente, impossibile dire quanta: riempiva tutto lo stanzone, non si riusciva a passare da un punto ad un altro. Fede sembrava conoscere proprio tutti, salutava questo e quello, baci, strette di mano, pacche sulla spalla…si atteggiava come un politico sotto elezione, davvero, con un sorriso spavaldo stampato sulla faccia. E non mi presentava a nessuno!! Dovevo farmi avanti sempre io “Ciao, sono Silvia…” etc.
La festa nell’insieme mi parve subito noiosa… sarà stato perché non conoscevo nessuno, tutti molto più grandi di me, sarà stato perché non ero dell’ambiente… così facevo da tappezzeria mentre Fede giocava a biliardo (puntando pure soldi! ), seduta tranquilla ai margini della folla stipata attorno al tavolo. Fu lì che mi abbordarono.
Erano due ragazzi davvero strani: il piccolo dei due era anche molto magro, quasi mingherlino, decisamente pallido, sciupato, lineamenti tirati sul viso e capelli biondo cenere lunghi ma poco curati; l’altro era poco più alto, una via di mezzo tra il robusto e il grasso, capelli neri (ispidi) a spazzola e barba folta. Il biondino mi sembrava proprio di conoscerlo, anche se era impossibile…aveva qualcosa di familiare.
Fu proprio lui, il biondino, a parlarmi per primo con un sorrisetto ambiguo e gli occhi sfuggenti rivolti verso il biliardo, come se stesse commentando la partita…
“Tu devi essere Silvia, la ragazza di boxer”.
“Di chi, scusa? ? ” risposi senza capire.
“Boxer è il soprannome di Federico…”
“Ahh, si, ci sono” feci del tutto meravigliata.
“Senti, io sono Max. Sarei Andrea, ma qui tutti mi chiamano così… e lui è il Boccia.
Mentre parlava si era accovacciato accanto alla mia sedia, senza mai guardarmi negli occhi: aveva delle mani piuttosto gracili, dita lunghe da ragazzina, e che orrore, unghie lunghissime e anche sporche. Incrociò il mio sguardo rivolto alle sue mani posate sul bracciolo della sedia e mi disse che lui suonava la chitarra classica, e le unghie gli servivano per gli arpeggi.
Per dimostrarmelo aveva fatto passare, noncurante, l’indice e il medio uniti sulla mia gamba accavallata, dal ginocchio all’orlo della gonna sulle cosce, “grattando” con le unghie il filato delle calze lungo il tragitto… come se stesse pizzicando degli accordi… “visto? ” aveva sussurrato con il solito sorriso.
Io ero rimasta allibita… stavo per alzarmi ma l’altro, “boccia”, mi aveva preso per una spalla borbottando in qualche tipo di dialetto “il mio amico qui deve dirti una cosa”.
Max si era fatto più vicino e mi aveva sussurrato all’altro orecchio “Boxi va dicendo in giro che tu sei proprio un bocconcino, e che l’hai stretta da paura…ma lui racconta anche tante palle per farsi grosso con noi… secondo me sei ancora verginella”. Le dita intanto avevano ripreso a grattare il collant oltre lo spacco laterale della gonna… e io ero paralizzata!
Cercai con lo sguardo il mio ragazzo, terrorizzata… lo vidi voltato di schiena che ridacchiava con altri due della partita, mentre il quarto tirava…
“Così – riprese Max – vogliamo verificare di persona. Io e Boccia”.
In un istante mi fu tutto chiarissimo: scappai letteralmente … la sedia volò indietro ed io mi precipitai lontano dai due, urtando e sgomitando quelli intorno: volevo raccontare tutto al mio ragazzo, volevo che li pestasse a sangue, soprattutto il biondino, max. Presi Fede in disparte; sembrava seccato per l’interruzione della partita a biliardo, e anche un po’ imbarazzato. Gli raccontai quello che mi avevano detto i due tizi, incredula che fossero suoi amici, e lui mi stupì di più ancora una volta: “dai, che scema, ti hanno presa per il culo… max è un subdolo, ma è inoffensivo… a 25 anni non è ancora andato con nessuna… – si mise a ridere – ci sei cascata di brutto! ”
Non avevo parole… o non capiva o non voleva capire… gli voltai le spalle e lo lasciai alla sua partita del cavolo. Per fortuna la serata andò meglio, anche se per Fede non esistevo… alle 3 di notte era ancora a giocare, aveva bevuto troppo, fatto casino, insomma il solito animale nel branco. Io ballando un po’ avevo fatto amicizia con un gruppetto di ragazze di ingegneria, una delle quali è la cugina del mio ragazzo… ero sempre un po’ timorosa dei due “amici” di Federico, ma loro se ne erano stati tranquilli e dopo un po’ li avevo persi di vista. Alle tre e mezza la festa si era svuotata quasi del tutto, un gruppetto era ancora al biliardo, altri fumavano per le scale, vicino all’ingresso, un paio di coppie ballavano i soliti lenti di fine serata. Io, dopo aver accompagnato fuori le mie nuove amiche (con alcune esco ancora oggi), cercai il bagno per darmi una sistemata… non avevo bevuto molto, ma mi ero rilassata rispetto all’inizio.
I bagni erano una cosa orribile: una fila di cinque o sei lavandini sporchi, senza specchi, davanti ad altrettante porte: sulla metà delle porte era disegnata una figura femminile, sull’altra metà maschile…erano deserti. Entrai in una delle porte riservate alle donne, e mi trovai davanti un bagno alla turca… in tutti i gabinetti era così… sui pavimenti c’era di tutto, da uno strato di orina diffuso a carta igienica inzuppata, gabinetti intasati, calpestati, sudici e puzzolenti come solo sei bagni per un centinaio di persone possono essere…
Trattenni la nausea e decisi di uscire subito di li, andare in macchina, fare qualsiasi cosa piuttosto che restare ancora in quell’orinatoio… quand’ecco la porta si aprì ed entrarono proprio i due… chiacchieravano rumorosamente di qualcosa, si sport credo, e ancora non si erano accorti di me… entrai subito nella prima porta davanti a me… praticamente un laghetto di orina…
Cercai di non guardare con cosa era intasato lo scarico… con la coda dell’occhio vidi galleggiare vicino ai miei piedi un assorbente interno usato, spostai lo sguardo sulla porta cercando, sforzandomi di chiudere le narici, di non sentire l’odore…
Aspettavo che se ne andassero… erano entrati in due dei bagni per ragazzi… sentivo le zip abbassarsi, silenzio, poi uno scroscio denso, disgustoso, poi l’altro seguito da un rumore osceno, uno sfintere che si libera dell’aria… risate, altre risate…
Poi una voce roca, impastata, che chiedeva all’altro perché aveva trattato quella tipa “da troia”… credetti fosse Boccia, o come cavolo si faceva chiamare… l’altro, riconobbi subito la voce di max, rispose che la “tipa” era in classe con suo fratello minore, e lui gli aveva detto che era una che “provocava”, una tipa che a vederla “gli piaceva il cazzo”, “e forse lo aveva pure assaggiato”. Risate. “me la farei davanti e dietro”, altre risate, “che zoccola! “…
Rimasi ferma e zitta, senza fare rumore… avevo il terrore che gli stivali si macchiassero, disgusto per la puzza, per quei due poveracci, per la situazione in cui mi ero cacciata… ma da qualche parte di me un brivido, si un brivido perché sapevo di piacere loro, ero certa che mi desiderassero… a diciotto anni non potevo identificare quel pensiero, dargli un nome, un’identità… ero ancora tutto sommato troppo piccola…
Aspettai che uscissero, sconvolta, poi mi precipitai fuori da quel gabinetto osceno… la porta si aprì di nuovo… max… era tornato indietro, non so per cosa… non poteva avermi sentito… ma ora mi aveva vista…
All’inizio rimase stupito almeno quanto me… poi sorrise, oddio quel sorriso così laido! Indietreggiai istintivamente…per poco non misi un piede dentro lo scarico della turca… lui si voltò fuori e fece un cenno… cercai di urlare ma non mi venne niente… non riuscivo a dire niente.
Entrò anche il suo compagno…max era arrivato sino alla porta del gabinetto dove mi trovavo io “guarda guarda, la zoccola…” disse l’altro appena entrato…indietreggiai ancora oltre la turca… le spalle urtarono contro le mattonelle schizzate del muro. Max si avvicinò ancora, Boccia era alla porta del gabinetto…”chiudi la porta, bò”.
“Ragazzi ora mi metto ad urlare…” riuscii a dire con le spalle al muro. “Si? – fece max – la musica è troppo alta, e quel coglione di Boxi sta uscendo fuori di testa con i suoi amici dottori… e se anche viene – aggiunse rivolto all’altro – vede la sua ragazza che si fa ripassare nel bagno degli uomini da due mezze seghe come noi…” . “Sai che figura di merda – replicò Boccia – per lo sportivo e la verginella…” “L’università è piccola, verginella – continuò max sempre più vicino – ci si conosce tutti… la nomea al liceo già c’è l’hai, ma qui ti resta a vita…” L’altro aveva chiuso la porta.
Max adesso era contro di me, si era incollato addosso… mi aveva poggiato la mano sul fianco, la sentivo armeggiare con la vita della gonna per scivolare dopo sotto al maglioncino: le dita erano fredde, ma sentii immediatamente rizzarsi le punte dei seni sotto il cotone del reggipetto… il suo volto era contro il mio, voltato da una parte… sibilava all’orecchio “me lo fai venire duro, verginella, senti com’è duro…” e poi “facciamo piano troietta, piano piano, se entra qualcuno e ti fai sentire poi diventi la troia della facoltà…”
Mi veniva da piangere, li odiavo, odiavo tutta quella gente, il mio ragazzo, odiavo il loro ambiente di merda… ma la mano di max era entrata sotto il lupetto, e le sue unghie affilate si erano chiuse dolorosamente piacevoli sul bottoncino del mio capezzolo eretto come un diamante, non ero riuscita a trattenere un gemito profondo, gutturale…
La porta era serrata su noi tre, il gabinetto ci conteneva a stento, io ero stretta da quelle due bestie in una gabbia di sudicio, densa dell’odore dei maschi…
Adesso stava baciandomi sulla bocca come un animale, scavando e mordendo di saliva, succhiandomi la lingua, le labbra… insieme al sapore del fumo e della birra che aveva bevuto riconobbi anche quello salato del sangue… i denti che mi morsicavano avevano segnato la mia bocca di tagli, piccoli e insistenti nelle pulsazioni di dolore… la mano che frugava sotto aveva fatto saltare il reggiseno e mi palpava con dita appuntite che a volte graffiavano come rasoi…
“Vieni, mettiamola in mezzo! ” credo disse boccia alle sue spalle… senza staccarsi da me, max mi sollevò da terra e ruotando di 180 gradi mi mise in mezzo a loro due, con la schiena rivolta all’amico, proprio sopra il buco della turca… presero a toccarmi dappertutto, erano molto eccitati; il lupetto era stato completamente arrotolato sul petto, il ventre e lo stomaco nudi, esposti, max mi artigliava i seni con tutte e due le mani, li schiacciava e li pizzicava, quelle del compagno erano sotto la gonna, fra le gambe, sulle cosce.
“Questi li togliamo” ringhiò ad un tratto Boccia alle mie spalle, e prese a sfilarmi gli stivali slacciandoli da dietro… no, cercai di dire nella bocca di max, non voglio, orripilata dal mettere i piedi scalzi nell’urina ristagnante del gabinetto, mi divincolai con tutte le mie forze, mi staccai da max con una spinta…
Un lampo di dolore sulla guancia… poi un altro… mi avevano schiaffeggiata… la morsa delle mani di boccia da dietro si chiudeva dolorosamente sui miei polsi girati… avvertii subito quanto gli piaceva farlo… sembrava avesse un pugno piantato contro lo spacco delle mie natiche. “Dai, troietta, è solo pipì di ragazzini…”
Max aveva inchiodato il suo sguardo nei miei occhi…”vedi quello – disse rivolto all’assorbente interno che galleggiava nel pantano del gabinetto – non fare casino sennò te lo rimetto nel suo posto originale…” Non ebbi il coraggio di fiatare… era tutto sporco di sangue.
Mi tolsero gli stivali e fui costretta a poggiare i piedi fasciati solo dai collant sulla pedana della turca…sentii immediatamente le calze sotto le piante dei piedi inzupparsi di un liquido denso, caldo e rossiccio…per scherzo boccia da dietro mi spinse in avanti con un colpo di bacino, e un piede sprofondò nel buco inzaccherandosi sino alla caviglia… risero piano divertiti…
“Adesso ti faccio vedere perché mi chiamano max…” il bozzo era evidente, ma quando tirò giù la cerniera dei jeans rimasi paralizzata… a contrasto con il fisico esile e ossuto il grosso pene sembrava mostruoso, era enorme, una sorta di proboscide … eretto, con le vene gonfie di sangue, andava abbondantemente sopra i venti, il glande a forma di fragola, semiscoperto, era molto più grosso della colonna… lo guardai in viso, e lui lesse il mio sbigottimento…aveva la bocca sbavata del mio stesso rossetto, sembrava una sorta di clown perfido e vigliacco.
“Ora voglio che ti metta in ginocchio per terra e me lo baci…non devi succhiare, hai capito, troia? Solo baciare. ”
Non sapevo quale delle due cose mi faceva più orrore…baciarglielo o mettermi in ginocchio nel lago di orina. Lui interpretò il mio disgusto per inesperienza… “Sei proprio una verginella…”
Boccia mi spinse giù, poggiai una mano, poi un ginocchio, poi entrambi nel pantano… giù la puzza era indescrivibile… ebbi un conato e a stento mi controllai dal rigettare contro la parete al mio fianco… i due sghignazzavano… scoppiai in lacrime, e mi arrivò uno schiaffo rabbioso…”sbrigati o ti facciamo pulire per terra”.
Ne presi in bocca un po’, lo baciai con la lingua e l’asta si tese di più… il glande scivolò fuori completamente, ed io ne baciai ancora un’altra porzione, max gemette di piacere…”allora ci sai fare…” scesi dalla punta ai testicoli, sempre baciando, ignorando l’odore alle mie narici e il sapore aspro in gola…scesi ancora più giù, li accolsi in bocca prima l’uno e poi l’altro, risalii sul filo, poi di nuovo giù, ancora a baciargli i testicoli gonfi fino a quando Boccia mi strattonò puntandomi il suo attrezzo in faccia. “Qui devi ciucciare, invece” sibilò con un sorriso idiota.
Il suo non era grosso come quello dell’amico, ma se vogliamo più orribile… sembrava il membro di un animale… piccolo e tozzo, annegato in un cespuglio schifoso di peli ricci e neri che gli crescevano persino sull’asta …spuntava sotto una pancia prominente e pelosa come il ventre di un porco selvatico, la cappella rossissima per l’affluire del sangue… e puzzava… puzzava più della pozzanghera nella quale avevo immerso le ginocchia… “O lo fai da sola o te lo faccio fare io” aveva detto max ora alle mie spalle.
Aggrappata alle cosce di boccia, avevo aperto la bocca per prendergli l’uccello… lui me l’aveva cacciato dentro fino alle tonsille; i suoi peli, fitti e ricci, sapevano di sudore e pipì, mi strozzavano dal ribrezzo… dava dei colpetti di reni mentre lo succhiavo, la sua verga mi soffocava, ma l’avevo leccata febbrilmente. “Sembra una ventosa, mà…” Quando mi venne in bocca tossii fino a soffocare… avevo ancora alcuni di quei peli schifosi impigliati fra i denti, e sulla lingua…
Max mi fece alzare tirandomi per i capelli…sentivo le gambe bagnate fino alle ginocchia, il nylon dei collant inzuppato di orina mi aderiva addosso come una membrana sintetica… “Allora, puttanella, la verità.. sei vergine o no? ” Risposi che lo ero, mentendo per risparmiarmi una ulteriore violazione… “Visto, bò… che ti avevo detto… boxi racconta solo cazzate…”.
Boccia mi teneva ancora bloccata contro di sé…lo sentii dire “Finché non lo vedo, non ci credo…”. Max sorrise: aveva ancora il pene fuori dai pantaloni, anche se non era più durissimo… “hai qualche cappuccio, bò? ” Fece segno di no con la testa. Allora Max mi mise davanti gli occhi l’indice e il medio della mano destra… quelle unghie lunghe e sporche, oddio, davvero disgustose… come per scusarsi di quello che stava per fare mi disse “il mio amico non ci crede…” e me le spinse in bocca… io non volevo, ma le succhiai, le morsi, le leccai… quando ritenne che fossero bagnate bene le tirò fuori… ebbi il coraggio di dire “ti prego, mi farai male …” rispose: “questo dipende da te…”
Mi slacciò la gonnelina scozzese dalla fibbia, che finì sul pavimento… cercò malamente di tirarmi giù il corpino dei collant con gli slip, ma erano troppo stretti e lui sinceramente non sembrava pratico… così si chinò davanti al monte di venere, mi fece allargare le cosce e morse il nylon sotto il tassello dei collant, prima smagliandoli, poi aprendoci in mezzo un varco sottile…
Lo allargò con le dita fino a creare un’apertura grande quanto il palmo di una mano, proprio sotto il cavallo delle mutandine. Le scostò quanto bastava e, non senza graffiarmi le grandi labbra, mi penetrò brutalmente con due dita… mentre lo faceva mi baciava il collo, mi mordeva e succhiava la pelle… sentivo il suo enorme pene battermi contro la coscia, via via più duro “menalo, dai… non farlo ammosciare…” senza capire lo accolsi nelle mani: era molto caldo e ruvido a contatto con il palmo, però lo strinsi forte e lo feci montare di nuovo fino a quando mi parve un manico di legno nodoso.
Da dietro anche Boccia aveva incominciato a palparmi, a pizzicarmi prima i seni, poi il ventre, poi fra le natiche…
Quando stavo per venire Max tolse le dita da dentro di me e subito dopo sentii come una pallina di ping-pong fregarmi contro l’ingresso della vagina… Spalancai gli occhi e max, piegando le ginocchia, con un movimento secco mi sprofondò dentro in una fitta acutissima di dolore… non ero più vergine, ma di natura sono stretta e allora ero ancora poco lubrificata per accoglierne uno di quella misura… feci per urlare ma la porta dei bagni si aprì ed entrarono dei ragazzi… lui mi mise una mano davanti la bocca e continuò a spingere, a forzare, a spingere sempre più in fondo finché non entrava tutto…
Senza più controllarmi avevo mosso il bacino in avanti per farmelo infilare meglio; ad ogni colpo con cui mi sbatteva credevo che mi aprisse in due, non avevo mai provato una sensazione simile.
Sentivo il mio odore sulla mano che mi chiudeva le labbra, un pensiero così intimo da abbinarlo subito al mio ragazzo: lo tenevo sulla bocca, ormai, e non seppi resistere alla tentazione di assaggiarlo dalle dita di un estraneo, il mio sapore… max allentò la presa, e con la lingua baciai in silenzio il succo che lui aveva raccolto dalla mia intimità… la testa mi girava come se fossi ubriaca.
Uno dei ragazzi appena entrati emise un suono di disgusto quando vide lo stato dei gabinetti… sentii l’altro aprire la porta di un gabinetto vicino a dove eravamo noi e incominciare a orinare con il solito scroscio… Max se ne accorse e si fermò, si fermò dentro di me… quel bastardo del suo amico invece l’aveva di nuovo duro, e cercava di forzarmi dietro… lo aveva poggiato sulla fessura delle natiche con decisione e lo sentivo strofinare sotto i collant prima lentamente, poi sempre più veloce…
Ero schiacciata contro questi due corpi, le gambe divaricate, il membro di max sprofondato dentro di me e immobile, tranne che per alcuni guizzi… quello dell’altro che mi premeva contro l’ano, cercando di sodomizzarmi…
Poi capii che quello del bagno accanto aveva notato la gonnellina per terra.. “ehi, c’è qualcuno? Aveva detto nella nostra direzione”; fu boccia a ribattere: “gente, sto scopando con la mia ragazza, va bene? ! ? ” Sentii rispondere in maniera piuttosto imbarazzata “Ok, nessun problema, togliamo il disturbo…” Quanti altri gonnellini scozzesi rossi erano presenti alla festa?
Mi resi conto che Max non aveva il condom quando, dopo essersi irrigidito, uno spruzzo denso e bollente mi schizzò rabbioso in fondo alla vagina… e poi ancora un altro, un altro, e un altro!! Forse ero veramente la sua prima ragazza, oppure non lo faceva da molto. Mentre veniva dentro mi aveva morso la spalla, da sopra il maglioncino…avrei avuto il livido per una settimana…per non parlare dei graffi sui seni e sul pube.
Poi, senza neanche un momento di pausa mi passò subito a boccia, che non era riuscito a sodomizzarmi… trovò da dietro il buco lasciato libero dal compagno, e mi penetrò in un solo movimento: il suo sesso scivolava facilmente, facendo contrarre le pareti vaginali già dilatate da quello più grosso dell’altro. Max mi aveva sollevato i polsi in alto, bloccandomeli sopra la testa: aveva ancora voglia di mordermi mentre l’altro mi pompava da dietro, così tirò su il maglioncino e si gettò come un cane sui miei seni nudi.
Anche boccia venne là dove era venuto prima il suo amico, grugnendo e scaricandomi dentro altro sperma… anche lui non aveva il condom.
Morsicarmi i capezzoli e i seni aveva indurito di nuovo max, che volle provare a sodomizzarmi: mi sbatté contro il muro di lato cercando in tutti i modi di prendermi da dietro, ma evidentemente questo non lo aveva mai fatto, e provarci in piedi è molto difficile…così mi sollevò una gamba e mi montò di lato, venendomi dentro un’altra volta pochi minuti dopo. Questa volte ne fece di meno, però.
Quando li vidi risistemarsi i pantaloni dopo che mi avevano sbattuto per bene non ci vidi più dalla rabbia…”siete due bastardi. Potevate venire fuori…”
“Se non vuoi eredi per il fidanzatino, vai in farmacia e prenditi la pillola…” disse max mentre uscivano dal bagno.
Seppi alcune settimane dopo che Andrea, il fratello maggiore di un mio compagno di classe, si faceva a Boboli con altri tossici…senza farmi prendere dal panico feci il test, che risultò negativo, per fortuna.
Quella sera cercai di sistemarmi per il meglio: sentivo il loro seme dentro, ma non c’erano bidet e non volevo stare ancora in quel gabinetto. Accovacciandomi sui polpacci aprii con i pollici le labbra e ne feci uscire un po’ in un lungo rivolo. Poi misi le mutandine sopra uno dei tampax che tengo sempre in borsetta; tolsi i collant bagnati di orina e rotti in più punti, indossai la gonna e gli stivali sulle gambe nude, allacciai il reggiseno, mi rifeci il trucco quel tanto che bastava per essere presentabile.
La gonna e gli stivali erano bagnati, e puzzavano un po’, ma nell’insieme mi feci coraggio e uscii dai bagni della festa… andai verso Fede, che stava ballando vicino al tavolo… speravo che nessuno notasse il fatto che ero senza calze, e che la gonna fosse bagnata in alcuni punti. Gli dissi che me ne andavo, o con lui o con un altro.
Mi rispose che ero sempre la solita, che non sapevo divertirmi, e bla bla bla, però capì che facevo sul serio, così salutò gli altri e lasciammo la sala.
In macchina notò che non portavo più i collant, e mi chiese spiegazioni… io gli presi la mano e me la guidai sotto la gonna, sopra il cotone degli slip…”sei bagnata” mi disse lui affondando le dita sul cotone umido di sperma… “portami a casa”, feci io.
Sotto casa, in un angolo buio della strada, gli dissi di parcheggiare… tirò indietro il sedile del guidatore ed io gli montai sopra a cavalcioni… facendo finta di armeggiare con le mutandine mi tolsi da dentro la vagina il tampax zuppo di sperma, nascondendolo nella mano, poi in borsetta … lui si stava sbottonando… quando mise la mano nella tasca della giacca, là dove teneva i condom, lo fermai… “oggi facciamo senza”, dissi io… lo montai selvaggiamente, accogliendo il suo membro là dove erano venuti i suoi amici prima di lui… si stupì per forza del fatto che ero così bagnata, ma credo ne diede la causa alla mia forte eccitazione…
Prima che anche lui mi venisse dentro, gli sussurai all’orecchio: “e così dici in giro che sono un bel bocconcino…”; annuì decisamente e subito dopo si scaricò dentro di me…
Continuando a tenermelo dentro, via via che si ammosciava contro il seme suo e di altri, gli dissi contro l’orecchio:
“ora lo sanno anche i tuoi amici…” FINE